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IL FATTO QUOTIDIANO Un mondiale di poco pane e molti circenses

Proteste Brasile
Proteste Brasile

(O. Beha) Che significa che più di un brasiliano su due è contro questi Mondiali? E che significa che l’11 per cento dei giocatori iscritti a questo samba rotondomotorio è oriundo, cioè non nativo della terra di cui rappresenta l’é l ite pallonara? E questi due significati hanno qualcosa in comune tra loro? Per la prima domanda, vale forse ricordare ciò che tutti i calciofili sanno da sempre, e cioè che i bambini che riluttano al calcio sulla sabbia di Copacabana vengono dirottati dallo psicanalista. O forse venivano… Oggi quelle spiagge manifestano come dovunque a colpi di scioperi e “riots” contro spese monumentali e secondo loro “i n g i u s t i f i c ate ”. La sanità e i mezzi pubblici troppo costosi vengono prima, così come le favelas a 4 km dal Maracanà dove vorrebbero che andasse il presidente della Fifa, Blatter (sputtanatissimo anche dall’Economist : ma in passato dov’erano?), a vedere come la polizia le “bonifica”. Simili manifestazioni contro non erano mai accadute, a memoria d’u omo o di ragazzo: e che avvengano in Brasile dove tutto è o sarebbe calcio e musica fa un effetto assordante. E straniante.

MA NEL FRATTEMPO gli attori di questo spettacolo televisivo, che s’accingano a recitare in stadi non pronti e “cruenti” nei preparativi, per una percentuale rilevante hanno poco a che vedere con i colori della Nazionale di cui vestono la maglia, a partire dal famoso Diego Costa, centravanti che ha fatto la fortuna dell’Atletico di Madrid. Peccato che sia brasiliano, orgoglioso di essere brasiliano e “quindi” conseguentemente affiliato alla Spagna… Come lui – s’è detto – in parecchi. I due fenomeni insieme denazionalizzano il pallone come mai in passato. Un Mondiale organizzato contro metà popolazione è una prevaricazione, una prepotenza, una presa d’o s t a ggio che snatura il senso stesso giocoso dell’Evento.

E IL FATTO che in tanti, in realtà, rappresentino solo se stessi e non il loro Paese d’origine, sangue e suolo a farsi benedire troppo spesso nel portafoglio, completa questo snaturamento. Chi può davvero meravigliarsi (ser tao o ca – cao meravigliao, tanto per pasticciare un po’ l’orecchio …) dunque se è proprio superMario Balotelli a rappresentare metaforicamente il Cristo nero italiano e internazionale, quello che scende blasfemo dalla croce della Cattedrale di San Martino, a Lucca, e fa il pieno di emuli nella terra più africana d’oltreoceano? Paradossalmente non c’è quasi spazio per il calcio giocato, solo il pretesto per il contorno: tanto gossip, un po’ di circenses arrangiaticcio e soprattutto – mi raccomando – niente pane.

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