(M. PINCI) – Lo sfogo, poi rimangiato, continua a far rumore e sarebbe difficile il contrario. La cena di Natale organizzata dalla Roma ieri sera al Maxxi, è andata di traverso a dirigenti e allenatore dopo lo sfogo di Francesco Totti. “Ho pensato di andare via, soprattutto ultimamente. Se il problema per alcuni tifosi della Roma sono io, continuerò a pensarci”, le parole del capitano romanista che la retromarcia di mezzanotte (“Sono stato insultato e non erano laziali, ma resterò alla Roma per sempre”), non ha certo cancellato. Un malessere indirizzato, per la prima volta nella sua carriera, verso quei tifosi che l’hanno insultato per strada dopo il rigore sbagliato contro la Juventus. Ma che ha radici profonde, ancorate in un’estate che ha stravolto il suo orientamento all’interno della Roma. Da stella polare dell’era Sensi a soldato semplice, seppur con i gradi di capitano, con l’avvento dei nuovi proprietari americani.
TRADITO NELLE DIFFICOLTÀ – Lo stravolgimento degli orizzonti non può non aver disorientato Totti. Non c’è dubbio, a causare quel moto di rabbia e delusione, di voglia di ridiscutere anche un futuro blindato da uncontratto fino al 2014, sono state determinanti le provocazioni ricevuto da qualcuno sotto casa, soprattutto perché davanti ai figli Cristian e Chanel. Un episodio inedito, con il capitano sorpreso da quello che inizialmente pensava fosse uno scherzo e che ha temuto potesse tramutarsi in una vera aggressione almeno verbale. Una ferita aperta, veder mancare l’appoggio in un momento del popolo per cui sente di aver dato tutto (compresi un ginocchio e una caviglia), tradito in un momento per lui non semplice. Contro la Juventus, la gara che avrebbe potuto decidere dal dischetto, era rientrato in campo dal primo minuto dopo 72 giorni di assenza, da quel Roma-Atalanta del primo ottobre terminato con un infortunio fastidioso, doloroso, lentissimo da mettere alle spalle e che ancora qualche fastidio lo causa al numero dieci della Roma. Anche l’errore dal dischetto contro l’amico Buffon pesa sul suo umore: colpa di quel gol che non arriva – la prima volta, a questo punto dell’anno, dal ’94 a oggi – e di cui Francesco inizia a sentire la nostalgia: “Giocando più vicino alla porta ho più occasioni da rete – il suo messaggio – e spero di segnare già domenica: mi sono dimenticato come si esulta”.
“NORMALIZZAZIONE” INDIGESTA – Più di un sassolino che Totti si è tolto dallo scarpino, per manifestare il rammarico di aver dovuto a lungo giocare in un ruolo che non sente più suo, quello di trequartista. Dettagli, rispetto agli episodi che in estate avevano già fatto storcere la bocca (e i pensieri) al capitano romanista. Chi non ricorda la discussione con Baldini e le settimane di gelo tra i due, proprio mentre Luis Enriquesalutava precocemente l’Europa League ammainando in panchina la bandiera Totti? Dissidi poi chiariti con il dg e con l’allenatore: oggi Francesco sa che la società punta ancora su di lui. Ruggini e cicatrici, però, restano. Come quella volontà di “normalizzare” Francesco Totti, chiedendogli di fare “soltanto il calciatore”, che lui ha più subito che compreso. “Ma non ce l’ho né con la società né con il tecnico, mi ha solo dato fastidio dover sentire le critiche dei tifosi romanisti”, aveva assicurato subito dopo aver manifestato i propositi di addio. Destinati a rimanere soltanto tali. Almeno per ora.