(A. Socci) – Sembrano così lontani il nostro Meridione e il nostro Settentrione. Invece nel profondo sud di Scampia e nel profondo nord di Brembate Sopra, ci sono padri e madri che hanno lo stesso cuore, che condividono lo stesso dolore per lo strazio di un figlio ucciso e sanno dire parole cristiane, parole di amore, dove tutto griderebbe rabbia e vendetta. Ventimila persone erano presenti ai funerali di Ciro Esposito, il giovane napoletano che il 3 maggio era andato a Roma per vedere una partita di calcio ed è stato assurdamente ammazzato senza motivo (è stato in agonia per cinquanta giorni). La madre Antonella si è espressa così davanti a tutti:«Noi abbiamo tanto pregato, abbiamo pregato da prima che sapessimo che Ciro era il ferito grave. Quando l’ho saputo non ho perso la pace che ho trovato con la preghiera. Questo ragazzo aveva mille motivi per bestemmiare e invece ringraziava e onorava il Signore. Ed anche io oggi ringrazio Dio per la forza che ha dato a me e alla mia famiglia.Voglio ringraziare le migliaia di persone che ci sono state vicine lì al Gemelli, dalle più umili alle più importanti. La memoria di Ciro porti gioia, pace ed amore. Grazie a tutti, mantenete alta la bandiera dello Sport e dell’Amore».
Anche la fidanzata, Simona, ha fatto appello alla tifoseria napoletana –«Sotterrate la violenza!» – perché non ci si abbandoni a una spirale di odio e vendette per la morte di Ciro (e speriamo che queste testimonianze di pace facciano breccia nel cuore di tutti). In circostanze e luoghi del tutto diversi – nella bergamasca – il giorno dell’arresto di Massimo Giuseppe Bossetti, per l’uccisione di Yara Gambirasio, il papà della ragazzina, Fulvio, ha detto a don Corinno, il parroco di Brembate Sopra: «Prega per tutti, anche per la famiglia della persona fermata, anche per lui, c’è bisogno di preghiera». Pochissime parole, confidate al suo parroco, ma sconvolgenti sulle labbra di un padre che ha vissuto una tragedia così crudele. Non hanno nemmeno bisogno di essere spiegate e commentate. Sono parole semplici e vertiginose,da rileggere e custodire nel cuore. Ricordano quelle scritte da uno scultore trecentesco su una piccola pergamena nascosta poi dentro un crocifisso ligneo che egli aveva scolpito: «Abbi pietà di tutta l’umana generazione».
Nel primo caso, la madre di Ciro ha dovuto e voluto parlare pubblicamente per prevenire e scongiurare qualunque tipo di violenza e vendetta fosse progettata da certi ambienti nel nome del ragazzo napoletano. Nel secondo caso, in cui non c’era da calmare bollenti tifoserie calcistiche, i genitori di Yara si sono negati totalmente ai riflettori.Ma in entrambi i casi si è manifestata la stessa pietà. Lo stesso desiderio di sottrarre i propri figli al circo della violenza o al circo mediatico della chiacchiera e del rimestare nel fango. Infatti ore e ore di trasmissioni televisive sono state dedicate al caso di Yara Gambirasio (di nuovo in questi giorni,per l’arresto di Bossetti e la svolta delle indagini), ma mai, nemmeno per un nanosecondo, il padre e la madre di Yara si sono concessi ai microfoni e alle telecamere. Fiumi di inchiostro sono corsi sulle pagine dei giornali in questi anni sulla ragazzina di Brembate, scomparsa e poi ritrovata crudelmente uccisa, ma nemmeno una parola si è potuta attribuire fra virgolette alla povera e dolente famiglia della vittima. Dei due genitori si hanno solo pochissime immagini catturate durante i loro fugaci e silenziosi passaggi nei giorni in cui entravano nella caserma dei carabinieri o in procura. Quel papà e quella mamma, sempre gentili nei modi (mai irritatio infastiditi), hanno costantemente rifiutato con ferma decisione di rilasciare dichiarazioni. Con un passo svelto e con un mesto sorriso di cortesia che impedisce alle telecamere di «rubare» loro perfino un’espressione del volto da cui traspaia l’immensità del dolore che hanno nel cuore e che hanno sofferto fino ad ora. Nella società del frastuono mediatico e della spettacolarizzazione del crimine, il loro silenzio è stato rivoluzionario. Non voglio certo puntare il dito moralisticamente sui media o sui colleghi che fanno il loro lavoro. Ma – almeno per un momento – bisognerebbe riuscire a soffermarsi su quel silenzio e sulla scelta dei genitori di Yara. Soprattutto quando poi – per interposta persona – veniamo a conoscere parole immense come quelle che papà Fulvio ha detto al suo parroco. Antonella, la madre di Ciro, Fulvio, il padre di Yara, con le loro famiglie, sono persone meravigliose. Altri come loro – andando a ritroso in questi anni – ci hanno commosso per lo stesso amore, la stessa pace interiore e la stessa pietà. Penso al signor Carlo Castagna o alla signora Margherita Coletta. Ricordate? Il signor Castagna nel delitto di Erba, l’11 dicembre 2006, aveva perduto la figlia, la moglie e il nipotino. Ma, pur dentro il suo immenso dolore, quest’uomo buono e profondamente cristiano,disse: «Li perdono e li affido al Signore. Bisogna perdonare in questi momenti. Bisogna finirla con l’odio».
Commosse tutto il Paese anche la testimonianza di Margherita Coletta, vedova del brigadiere dei Carabinieri Giuseppe Coletta, ucciso il 12 novembre 2003 nella strage di Nassiriya con altri diciotto colleghi: «Se amate quelli che vi amano che merito avete? Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori». Era il giorno della strage e a ricordare a tutti queste parole di Gesù davanti alle telecamere era una giovane sposa e madre,di 33 anni, che già aveva perso un bambino per leucemia e che aveva appena appreso dell’uccisione del suo uomo in missione di pace.
La signora Margherita, davanti ai giornalisti che avevano invaso la sua casa di Napoli, quel giorno, con una figlia di due anni in braccio, pur soffrendo in modo spaventoso, volle ricordare quelle parole e indicando il Vangelo aggiunse: «La nostra vita è tutta qua dentro». Poco tempo dopo ha spiegato: «È Gesù che ha fatto sì che io potessi rispondere con l’amore all’odio. Non mi sono domandata chi avesse ucciso mio marito. Senza perdono non siamo cristiani». Certamente sono parole così immense che non vanno considerate per nulla ovvie o automatiche. Non c’è nulla di automatico in esse, sono un miracolo, sono un dono di grazia. Noi uomini da soli non ne saremmo capaci. Infatti ricordando poi la morte del figlio Paolo, a sei anni, per leucemia, Margherita aggiunse: «Diomi ha sorretto in questi dolori; davanti amio figlio con grossi aghi sulla schiena per la chemioterapia, davanti amiomarito che non c’è più. Le difficoltà sono tante, forse ce ne saranno anche altre, ma io mi sono aggrappata a Cristo e alla sua Croce, unica salvezza per tutti ». Periodicamente la cronaca ci spalanca davanti agli occhi questa Italia profonda, forte e buona, piena di fede e capace di perdono e di compassione. Un’Italia commovente e veramente eroica nella vita quotidiana. Un’Italia che normalmente sembra non esistere nelle nostre cronache. E invece è quella che resiste. È un immenso tesoro di sapienza e di amore. Spesso bistrattata con disprezzo da certe élite intellettuali e politiche. È lì la speranza per tutti.