(L. De Cicco) – Dopo Legambiente a picconare «l’Ecomostro di Tor di Valle» è Italia Nostra, una delle più antiche organizzazioni paesaggistiche italiane, riconosciuta con decreto presidenziale nel 1958. Il progetto del nuovo stadio secondo l’associazione sarebbe un «pasticcio clamoroso», un’operazione immobiliare che «si presenta sempre come una ben confezionata speculazione edilizia con la ricerca disperata, per giustificarla, di un pubblico interesse». Nel mirino dell’organizzazione finisce«l’inaccettabile meccanismo delle compensazioni edilizie, dato che per ottenere opere pubbliche necessarie si prevedono ben 220 milioni di euro per un complesso di uffici che poi potrebbero essere tranquillamente trasformati in abitazioni grazie al “Piano casa” regionale, senza neanche avere bisogno dell’avvallo dall’assemblea capitolina».
Mirella Belvisi, vicepresidente di Italia Nostra Roma, si rivolge al Campidoglio. E spiega che «nessuno vuole impedire ai tifosi della Roma di avere uno stadio. Ma bisogna guardare i numeri: grazie a questo impianto un costruttore pensa di poter realizzare addirittura tre grattacieli, come proposto a giugno a New York dall’architetto Daniel Libeskind». Ecco perché, secondo l’organizzazione, «le parole dell’assessore all’Urbanistica Caudo non bastano. Dire che ci sarà una fermata della metro B a Muratella è insufficiente, nel progetto del costruttore Parnasi si vedono tantissimi interessi privati e pochissimi per i cittadini». Secondo Italia Nostra l’area di Tor di Valle «è la più infelice tra le scelte possibili. È un cul-de-sac completamente intercluso tra l’ansa del Tevere e via Ostiense, senza vie di fuga, con 22 ettari inedificabili e gravata da vincoli paesaggistici e archeologici che sembrano non interessare nessuno».
VINCOLI NON RISPETTATI . Una zona esposta anche a possibili rischi idrogeologici. Secondo l’associazione infatti il terreno presenterebbe le stesse caratteristiche di quello che ha provocato i cedimenti del Palazzaccio a piazza Cavour. «Per questo chiederemo un’indagine all’Autorità di Bacino, perché l’impianto, con tutti i 960mila metri cubi di uffici e alberghi che il costruttore Parnasi vorrebbe tirare sù, sorgerebbe accanto al fiume Tevere e al Rio Vallerano. Un’area che già in passato ha dimostrato evidenti limiti idrogeologici».
I DEBITI – Secondo l’organizzazione poi «non è neanche stato risolto il problema della vendita dell’area», ceduta a maggio dalla Sais di Gaetano Papalia per 42 milioni di euro all’Eurnova di Parnasi. «Il curatore fallimentare potrebbe anche dire che la vendita non è regolare– dice la vicepresidente di Italia Nostra – Perché la società Sais Spa è fallita e la vendita dell’area potrebbe essere revocata». L’udienza per verificare la consistenza della situazione debitoria della società Sais è fissata per il 14 dicembre. «Perché allora il Comune vuole decidere prima?». Secondo Italia Nostra «l’assessore Caudo ha una fretta preoccupante di chiudere tutto entro agosto, fissando la conferenza dei servizi per il prossimo 31 luglio. Invece il pubblico interesse di questa operazione deve essere dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio e non può servire per privilegiare gli interessi grandi e potenti che stanno governando senza paletti questo progetto. Questa operazione ha contorni troppo opachi e poco trasparenti».