(M. Sconcerti) Una ventina di anni fa, pochi mesi dopo il secondo posto ai Mondiali di Sacchi e pochi mesi prima della legge Bosman che rese libera la circolazione degli stranieri nei campionati, il nostro calcio aveva almeno 110 giocatori da nazionale. Ora non arriviamo a 10 nuovi. Faccio qualche nome. In difesa andavano in campo Bergomi, Ferrara, Nesta, Adani, Panucci, Maldini, Baresi, Cannavaro, Materazzi, Cravero, Costacurta, ma anche Vierchowod, Pioli, Apolloni, Minotti, Tassotti, Pessotto, Benarrivo e molti altri. A centrocampo, Di Matteo, Fuser, Marocchi, Conte, Dino Baggio, Berti, Giannini, Manicone, Bortolazzi, Fiore, Tommasi, Di Mauro, Corini, Zoratto e un giovanissimo Pirlo. In attacco, dove adesso abbiamo solo Balotelli e Immobile, erano a disposizione Signori, Baggio, Mancini, Massaro, Vialli, Del Piero, Di Canio, Borgonovo, Vieri, Inzaghi, Chiesa, Montella, più un Totti di 17 anni. Un altro mondo. Che infatti vinse molto nonostante la grande crisi economica che si autoprocurò.
Oggi, in tutta la serie A gli italiani titolari sono una sessantina, circa la metà dei potenziali nazionali di allora. Nel mezzo è successo che sono arrivati gli stranieri, tanti stranieri, fino a riempire perfino i settori giovanili. La nostra crisi di risultati, sul piano tecnico, deriva quasi soltanto da questo. Non è vero che non possiamo fare niente. Possiamo prenderli ma limitarli in campo come già accade in altri Paesi europei. Oppure salvaguardare «la razza» tenendo basso il livello degli stranieri come fanno in Germania, dove il mercato internazionale quasi non esiste.Mai visto un fuoriclasse straniero giocare in Germania. Non Maradona, non Ronaldo, non Ibrahimovic, non Zidane, non Van Basten, tutti giocatori che sono stati invece in Italia. Qualunque sia il modo, una soluzione va trovata, il nostro problema è questo, questa è l’urgenza. Ci sono troppi italiani in meno che giocano a calcio. La domanda successiva è però un’altra: questo problema a chi interessa? A giudicare dal niente in discussione, direi a nessuno.
L’interesse di tutti è giustamente per il proprio club, partendo dai tifosi. Limitare gli stranieri produrrebbe proteste e insubordinazione prima di tutto fra la gente. Nessuno baratterebbe gli interessi della propria squadra, il piacere del mercato, con quello per la nazionale. Ma una cosa sta cancellando l’altra, non ci sono più margini. E perdendo i risultati della nazionale si perdono i risultati di un intero movimento, cioè soldi, valore, altro mercato. È ora almeno di affrontare il problema, ma nei programmi dei candidati alla presidenza nessuno ha la forza per farne un argomento di discussione. Eppure è esattamente quella la forza che fa di un uomo di calcio un presidente.