(M. Dalla Vite) – Facciotta da pubblicità. Qualcuno prima o poi lo chiamerà per uno spot. Faccia calcisticamente tosta, «e le assicuro che in questi casi conta molto quel che hai passato, piccole esperienze che ti fanno grande, come rompersi il crociato a 19 anni e doversi tirare su». Riccioli neri, corsa pulita, un gol in Islanda, Josè Rodolfo Pires Ribeiro, per tutti Dodò, ha lo sguardo della sua età ma alcuni concetti che lo dilatano nei modi e all’anagrafe: si vede che qualcosina ha vissuto, oltre che due anni in Italia. Da ieri, secondo accordi con la Roma, è ufficialmente un acquisto dell’Inter: bastava una presenza in gare ufficiali. E che presenza.
Carattere e personalità sono le parole più adatte a lei, nonostante sia un ragazzino.
«Si gioca Internacional-Bahia, storia di tre anni fa, io sono proprio nel club di Salvador in prestito per un anno dal Corinthians. Situazione di gioco, mi salta il crociato del ginocchio: lì per lì non so cosa sia, mi spavento, poi faccio i controlli e quasi mi viene da piangere. Sa chi c’era quel giorno allo stadio?».
Sì, l’Inter.
«Piero (il dt Ausilio, ndr) era in tribuna al fianco di Juan Jesus, allora ancora dell’Internacional e quel giorno credo squalificato. Juan sarebbe poi venuto in nerazzurro a gennaio, ma insomma l’Inter mi stava seguendo (succedeva dai tempi dell’Under 17 brasiliana, ndr). Era destino il fatto che prima o poi sarei venuto qui».
Torniamo al… crociato.
«Quell’evento mi ha rafforzato nella volontà e nella personalità. Se credi in quello che fai, devi darci dentro: quel crociato rotto mi ha fatto crescere dentro più del normale».
Serve personalità anche a prendere la maglia 22 dell’Inter, ex di Milito.
«Non sono mai stato troppo dietro a i numeri: è la mia età».
Bell’esultanza, buon assist e bel gol contro lo Stjarnan.
«Il pancione è quello di mia sorella Deyse, ha 27 anni, ed è ovviamente incinta. All’intervallo avevo chiesto a Jonathan di darmi un pallone così: grande, l’ha fatto. Di testa ho segnato sempre poco, magari nelle giovanili: raccoglievo i corner prima di batterli».
Giovanili: lei ha fatto parte di una bella batteria nell’Under 17.
«Eravamo forti, ma abbiamo fatto schifo non qualificandoci per i Gironi mondiali in Nigeria. Le dico chi eravamo: io, Casemiro, Fernando ora allo Shakhtar, Coutinho e un certo Neymar».
Ecco: come sta O Ney?
«Siamo amici d’infanzia. A 8 anni giocavamo a calcio a cinque insieme, eravamo vicini di casa: sempre stato incredibile. Ora, dopo l’infortunio, so che sta bene. Pochi mesi fa sono andato a trovarlo a Barcellona, nella sua casa: amo viaggiare». E quando viaggia, trasferte a parte? «Sfrutto il giorno libero e cerco di vedere l’Italia, le città d’arte».
Perché non è rimasto a Roma? Garcia non credeva più in lei?
«Evidentemente sono state fatte certe scelte. Garcia? Se non avesse creduto in me non mi avrebbe fatto giocare così tanto in giallorosso».
Vabbé. Mazzarri cosa le sta insegnando?
«A entrare in area: non ci ero abituato».
Ha sempre giocato a calcio?
«Sono sempre stato portato per gli sport: ho praticato nuoto e pallacanestro, soprattutto così, con amici; e da calciatore, inizialmente giocavo da trequartista. Poi dai 15 anni in avanti sono stato trasformato in terzino, nel Corinthians».
L’esterno alto del 352 è il suo ruolo preciso preciso?
«Ho 22 anni e cerco di imparare tutto».
Ci insegni: dove può arrivare quest’Inter?
«Non parliamo di scudetto, ora dobbiamo preparare il debutto in Serie A e accogliere al meglio i nostri tifosi per il ritorno contro lo Stjarnan».
Non avesse fatto il calciatore?
«Da piccolo, parlando coi miei genitori, avevo due ambizioni che poi ho dovuto lasciar perdere. La prima: volevo fare il medico, poi mi impressionai alla vista del sangue e abbandonai l’idea. La seconda: mi sarebbe piaciuto immensamente fare il biologo marino, ma poi ho capito di aver paura degli squali e allora niente…».
Non le rimane che…?
«Portare in alto l’Inter e… portarmi nella Seleçao, il sogno ».