(L. Valdiserri) – «Sono frasi che hanno provocato stupore e riprovazione». Le parole di Michel Platini, presidente della Uefa, introducendo la quarta conferenza Respect Diversity, sulla lotta a razzismo, discriminazione e intolleranza nel calcio, sono chiare. Ed è una scelta non fare il nome di chi ha pronunciato quelle frasi sui «mangiatori di banane» — e cioè Carlo Tavecchio —, che da Platini viene citato come «colui che è recentemente diventato presidente Figc». La Uefa ha aperto un’indagine sul caso Optì Pobà: «C’è chi deciderà in merito e non tocca a me pronunciarmi».
Il finale arriverà entro fine mese — forse prima — perché la Uefa si è presa il tempo per tradurre le carte dell’archiviazione italiana. L’assenza del presidente federale della nazione che ospita l’evento è clamorosa. Solo il presidente della Lega di serie A e vicepresidente federale vicario, Maurizio Beretta, per ovvi motivi, non vede nelle parole di Platini «un attacco a Tavecchio, semmai un elemento che ha ricordato un dato di cronaca». Per due deputati del Pd, Khalid Chaouki e Laura Coccia, «l’imbarazzante assenza del presidente della Figc costituisce un’umiliazione per l’Italia e per il calcio italiano ed è di per sé una sconfitta in tema di lotta al razzismo».
Platini ha affermato che non è più tempo per un calcio «bianco e machista, ma non possiamo essere orgogliosi di questa quarta edizione di Respect Diversity negli ultimi undici anni perché è la constatazione di un fallimento». Il razzismo è ancora ben presente nel calcio, megafono per chi vuole fare passare certi messaggi. Per questo è importante combatterli con leggi efficaci — sportive e non —, ma lo è altrettanto aprire il dibattito a 360 gradi per evitare ogni tipo di intolleranza (genere, colore e orientamento sessuale), ma anche, come ha detto acutamente un delegato croato, dell’ultimo grado di discriminazione: la povertà.
Sarebbe stato bello parlarne con Platini, «integrando» tutti i mass media presenti, ma nessuno è perfetto, nemmeno Le Roi. Lo erano, semmai, i suoi calci di punizione. In questo senso, con lo spettacolo e con i comportamenti, il calcio può dare una mano alla crescita sociale sui temi antirazzisti. Per questo, tra i relatori, c’era il presidente della Juve, Andrea Agnelli, che ha parlato della partnership con l’Unesco, chiamata «Gioca con me», che «è incentrata sull’educazione come chiave per combattere tutte le forme di discriminazione e promuovere l’integrazione. L’Italia sta prendendo coscienza solo adesso della portata dell’immigrazione di massa. Le nostre squadre sono diventate laboratori multiculturali. I nostri tifosi non sono interessati alla provenienza dei calciatori, l’unica cosa che conta è che siano una squadra. Nella Germania campione del mondo Miroslav Klose, che è nato in Polonia, è diventato un’icona. Se l’Italia raggiungesse un livello di integrazione sociale e sportiva pari a quello tedesco ne trarrebbe vantaggio sia dentro che fuori dal campo».