(M. Pinci) – Quando stasera James Pallotta si accomoderà in tribuna, a Manchester, potrebbe immaginare un Etihad Stadium tutto suo. Speranze, forse qualcosa di più. Ma quella tra il City e la Roma non è solo una partita di calcio: il numero uno del club giallorosso è salito sul volo per l’Inghilterra con l’idea di unire la dilettevole trasferta sportiva a un’utile chiacchierata d’affari. Il viaggio rappresenta infatti un ottimo pretesto per incontrare gli uomini della famiglia reale di Abu Dhabi che controlla il club inglese. E non solo. La Raptor di Pallotta è in contatto da tempo con gli uomini di Etihad – sponsor degli inglesi – per un’eventuale partnership con la Roma.
In fondo Etihad Airways ha sottoscritto l’accordo per il controllo di Alitalia è di proprietà di Khalifa bin Zayed, fratello del proprietario del City, Mansur: nessun accordo all’orizzonte, ma è naturale che la Roma e la compagnia emiratina possano dialogare. Di una possibile sponsorizzazione del club giallorosso, ma soprattutto della cessione dei “naming rights” del futuro stadio della Roma: l’impianto sorgerà a pochi chilometri e sulla stessa direttrice che collega la città all’aeroporto di Fiumicino, hub di riferimento della nuova Alitalia-Etihad.
Pallotta non chiede più di 13-15 milioni all’anno, e pazienza se un Etihad Stadium già c’è, a Manchester: «Non è vietato che due stadi in Europa portino lo stesso nome», l’eco di Trigoria. Proprio il “naming” del vecchio City of Manchester Stadium ha fatto la fortuna del City, che con il marchio di famiglia ha sottoscritto un accordo da 400 milioni di sterline in 10 anni. Operazione che non ha evitato le sanzioni del Fair Play Finanziario, ma ha consentito di costruire una squadra da 2 Premier in 3 anni, prima di finire nel mirino dell’Uefa. L’Emirates paga invece 30 milioni di sterline all’anno per lo stadio dell’Arsenal, l’Allianz ne ha spesi 90 per i diritti trentennali dell’Arena di Monaco di Baviera. La moda attira anche il Real, che davanti ai 500 milioni dei soliti emiri di Abu Dhabi è pronto a cedere persino il nome di un mito. E a dire addio al Santiago Bernabeu.