(A. Pugliese) Passeggi per Stamford Bridge e tra Real, Bayern, Borussia, Arsenal e Chelsea ti capita di incontrare anche James Pallotta. Già, perché la Roma è da un po’ che è pronta a sedersi al tavolo con le grandi d’Europa e ora che i risultati in Champions la legittimano, a quel tavolo ci si trova anche a suo agio. Non è l’unica italiana, perché al «The Sport Business Summit» di Londra ci sono pure Juventus, Inter e Milan. Ma, forse, è la più ricercata, come se fosse la grande novità nel vento del calcio italiano.
Pallotta, quando due anni fa divenne ufficialmente presidente giallorosso avrebbe mai immaginato un salto così rapido in alto?
«Onestamente sì. Anche se all’epoca, quando lo dissi, qualcuno pensò che ero pazzo. Ma due estati fa abbiamo fatto un lavoro straordinario, portando a casa tanti talenti, anche se magari con non molta esperienza. Quello è stato il primo step, poi è arrivata la qualificazione in Champions League. Ma io ci credevo già da allora».
Già, la Champions. Per la Roma è cominciata come meglio non poteva sperare.
«Sono molto fiducioso. Le gare con Cska e City mi hanno fatto capire che non ci sono differenze così profonde con gli altri club d’élite. Se penso poi che la gara di Manchester l’abbiamo giocata senza 6-7 giocatori, non posso che sentirmi bene. Stesso discorso con la Juve, una squadra forte, tra le più forti sotto il profilo tecnico. Ma abbiamo giocato al loro stesso livello, se non forse meglio, anche lì con tanti giocatori fuori per infortunio, gente del valore di Strootman, De Rossi, Astori. Tutti giocatori decisivi. E allora mi chiedo: come non potrei essere fiducioso?».
La partita dello Juventus Stadium ha lasciato però degli strascichi, dentro e fuori il campo.
«È successo quello che può succedere in tanti altri stadi: in Europa, in Italia, a volte anche negli Stati Uniti. È facile trovare 5-6 mele marce quando ci sono 50 o 60 mila persone che assistono ad una partita. Ma lo spettacolo di tifo dentro lo stadio è stato bello, sia per quanto offerto dai nostri tifosi che dai loro».
Nessuna delusione, quindi?
«Ovvio che sì, prima di tutto per il risultato. A Torino per fortuna non c’è stata la guerra mondiale, ma solo una partita con degli errori arbitrali. La sconfitta non ci rende mai felici ma va accettata. Da società, staff e tifosi. Anche perché la squadra ha dato il 100%, sono molto orgoglioso dei miei ragazzi. Anche se poi qualcosa che mi ha deluso davvero in realtà c’è».
Esattamente cosa?
«Quello che è successo dalla parti della nostra panchina: penso agli insulti a Ljajic e Strootman o agli schiaffi ai ragazzi dello staff. Questo non va bene, non è sport. Ma quello che è successo non vuole dire che tutto questo sia la Juventus, ma soltanto che c’erano proprio quelle 5-6 mele marce. Quella gente lì deve essere messa fuori dagli stadi, restarci fuori e non tornarci mai più. Non esistono altre strade».
Lei martedì ha lanciato un messaggio distensivo, per qualcuno una contrapposizione alle parole di Totti del post-Juve.
«Nella Roma chiunque può dire come la pensa: io, lo staff, i manager, i giocatori. Ognuno ha una sua opinione, probabilmente a caldo anche io avrei detto le stesse cose. Mi piace l’idea che la mia squadra abbia personalità e combatta su ogni cosa. A Manchester abbiamo preso subito gol e ci siamo rialzati, a Torino è successo lo stesso. Perdere non piace a nessuno, neanche a Francesco. Ma il giorno dopo è finito tutto. Bisogna voltare pagina. Quello che sappiamo fare lo dobbiamo dimostrare sul campo, non a parole. Ma una cosa ci tengo a chiarirla: quel messaggio non era diretto a Totti».
E sul campo, secondo lei, la Roma ha dimostrato di essere all’altezza della Juventus?
«Per me siamo anche più forti, questo ci ha detto la sfida di domenica, nonostante alla fine sia arrivata una sconfitta».
Quindi è una Roma da scudetto?
«Possiamo vincerlo, certo, io ci credo. Ci possono essere errori arbitrali esattamente come ci sono gli errori dei giocatori, vanno accettati. Ma a Torino non ho mai avuto l’impressione di essere inferiore alla Juventus. E avrei avuto la stessa idea anche se Totti avesse calciato fuori il rigore o Gervinho non avesse fatto quell’assist per Iturbe. Siamo molto forti, con tanto talento. E possiamo solo migliorare: molti dei nostri ragazzi giocano insieme da appena un anno, i loro stanno insieme da molto più tempo».
Alla ripresa, dopo il Chievo, ci sarà anche la sfida con il Bayern Monaco. Preoccupato?
«E perché dovrei? Se oggi a Monaco hanno timore della Roma, vuol dire che il nostro talento lo stiamo sfruttando bene. Tornerà Benatia, le circostanze che sappiamo hanno portato alla sua cessione. Ma dobbiamo rispettarlo per quello che ci ha dato, lo scorso anno è stato uno dei migliori. È il discorso di prima: dobbiamo crescere culturalmente, elevarci. Il passato è passato, dobbiamo dimostrare di avere classe. Perché ce l’abbiamo».
Dall’Inghilterra continuano ad arrivare lusinghe per Strootman. Non è che farà la stessa fine di Benatia?
«L’ho già detto, Strootman non è in vendita, neanche per 95 milioni. Come uomo d’affari le offerte le valuto sempre. Ma vogliamo costruire una grande squadra, Kevin non è sul mercato».
Che cosa pensa della squalifica per razzismo del presidente federale Tavecchio?
«È difficile anche commentare adesso questo passo, quello che pensavo di lui l’ho detto già la scorsa estate. L’opinione resta sempre quella, anche se sono rimasto piacevolmente sorpreso a sentirlo parlare di riforme che gli avevamo suggerito. Speriamo riesca a portarle avanti».
E della possibilità di introdurre la moviola in campo?
«Dobbiamo prendere esempio dagli sport americani, è giusto dare un paio di opportunità su cui interrogarsi, per rivedere eventualmente le decisioni arbitrali. Magari una a tempo, per non rovinare la fluidità del gioco (Pallotta ci mostra una ricostruzione del fallo di Pjanic su Pogba con l’area di rigore sagomata intorno al punto di contatto, ndr). Rispetto agli sport americani, poi, qui c’è una grande differenza: spesso le partite sono decise da una scelta, un fischio, un gol che può cambiare tutto. Pensiamo alla partita di Torino, con tre errori. Nel calcio queste cose decidono i campionati o l’ingresso in Champions. Sì, la moviola sarebbe senz’altro la strada giusta, un passo avanti verso la modernità».
Cosa serve invece per rendere gli stadi italiani più sicuri?
«Intanto il nostro speriamo di iniziare a costruirlo entro sei mesi. Sarà sicuro, con un design moderno, orientato alle famiglie. Lavoreremo molto con la polizia, non vogliamo quelle famose mele marce. Ma servono telecamere ancora più ad alta definizione, per individuare subito i violenti e spedirli fuori per sempre».
Ha scoperto per caso se è più veloce Gervinho o Iturbe?
«Venga, le spiego (e Pallotta mima gli scatti dei due, ndr). Gervinho disorienta gli avversari correndo, sterzando, li manda giù così. Iturbe ha una corsa diversa, sembra Bolt nei 100 metri, va dritto verso la porta e non si ferma più. Quando hai due così per Totti è uno spasso, certi palloni li sa mettere solo lui. Non so chi sia più veloce tra i due. Magari alla festa di Natale organizzeremo una sfida e lo scopriremo lì…».
Sa però che è Gervinho ad aver detto di voler sfidare Bolt?
«Davvero? Con o senza palla?».
Con. Proprio come con Pallotta la Roma, dopo essersi seduta al tavolo delle grandi d’Europa, vuole restarci il più a lungo possibile. Con uno scatto culturale però, quello che il presidente chiede anche alla sua gente.