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IL TEMPO “Potevo dimettermi. Ora battiamo la Juve”

Sabatini
Sabatini
(A. Austini) Fuma tanto, e si sa. «Sono un uomo del disordine – racconta – solo nel disordine riesco a chiudere un pensiero reale». Anche questo l’avevamo intuito dal suo lavoro frenetico, talvolta confusionario, geniale e illogico al tempo stesso. Ma che la sua inquietudine sia cresciuta a tal punto da doversi rinchiudere in uno stanzino dell’Olimpico a vedere le partite quando la Roma gioca in casa, senza nessuno attorno e con il solo calore delle sigarette a confortarlo, è una scoperta recente che ci aiuta a capire ancor meglio il personaggio.

Walter Sabatini è così. Irrazionale a prescindere. Mai sentito un direttore sportivo scegliere un allenatore (Luis Enrique) «perché ho letto una sua intervista in cui faceva riferimento al Cammino di Santiago». Zeman l’ha chiamato «perché a Pescara l’ho visto piangere per la prima volta. È un mio grande rammarico. Quando è venuto qui ho pensato che noi due, entrati nella terza età, avremmo potuto fare grandi cose insieme in una fase della vita in cui si possono mettere da parte convincimenti estremi». E Rudi Garcia? «Ha interrotto una vacanza per venire a parlare con me a Milano. Quando è uscito dalla stanza ho fatto una domanda supplementare: gli chiesi che rapporto ritenesse di costruire con la squadra. Tornò indietro sgranando gli occhi, dicendo che lui ama la sua squadra. Due parole messe insieme possono essere decisive. Lo sono state in quella circostanza».

L’intuizione di Sabatini ha risollevato la Roma. Le plusvalenze realizzate sul mercato hanno sistemato i conti. Pallotta sa che senza di lui il progetto morirebbe. «Il presidente si fida molto di me – dice Walter a Roma Tv – io mi fido delle sue idee, della sua voglia di ottenere un risultato di grande respiro. Ci riuscirà, con o senza di me». Sì, perché il diesse, nonostante un contratto firmato al contrario delle sue abitudini fino al 2017, continua a vivere alla giornata. E svela che la valigia l’aveva preparata due estati fa. « Baldini mi ha portato due volte a Roma: prima è stato facile convincermi, poi vedendo che l’operazione con gli americani non si stava concludendo mi ero infatuato della Sampdoria, dei Garrone. Baldini ha preteso che io mantenessi la parola. Sono state dette cose che disprezzo, con Franco abbiamo avuto un buon rapporto, ognuno col suo carattere. Lui si è dimesso e ho pensato di farlo anche io. Se Franco fosse rimasto, sarei andato via. C’era bisogno di un segnale forte di rottura e di una vittima da offrire». Intanto si prepara ai saluti Fenucci, «sta facendo una scelta diversa – conferma Sabatini – vuole maggiore autonomia e noi qui siamo tanti».

Baldini, invece, ha lasciato dopo il 26 maggio. «Non una tragedia – ricorda Sabatini – ma un giorno molto difficile. In quel momento la Roma per me è diventata un impegno emotivamente superiore, definitivo. Ho cambiato alcuni miei pensieri circa la maniera di costruire una squadra. Siamo ripartiti con Garcia e un gruppo di calciatori straordinari, nel campo e nello spogliatoio. Ragazzi che sono ancora qui e porteranno a casa qualcosa».

L’ostacolo principale è sempre la Juve. E gli arbitri, talvolta. «Qualcuno crede che loro siano più forti, in molti credono che siamo un po’ più forti noi. La partita di Torino ha dimostrato quest’ultima cosa. Rocchi ha sbagliato, ma lo stimo moltissimo Rocchi e sarei tranquillo se tornasse. Dobbiamo accettare i risultati, anche quelli dolorosi. Ne rigiocheremo altre di partite e dovremo dimostrare di essere superiori alla Juventus». Appuntamento il 1° marzo all’Olimpico. Sabatini ha già prenotato il suo stanzino.

 

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