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GAZZETTA DELLO SPORT Ma i numeri 10 in panchina fanno spesso flop

Johan Cruyff, ex allenatore del Barcellona
Johan Cruyff, ex allenatore del Barcellona

(D.Stoppini) – Ci dev’essere una sorta di rifiuto dell’idea. L’idea che il calcio sia davvero codificabile con schemi e mo­duli, ancor più che con un colpo di tacco, un assist, un tiro al vo­lo. Perché il numero 10 per na­tura è così. È uno di quelli che l’allenatore lo ascolta, sì, ma il giusto. Fino a un certo punto.Il 10 è sicuro del fatto suo, tanto sa che sarà una sua giocata, molto più delle idee del mister, a decidere la prossima partita, quella dopo ancora, e così per sempre. Ecco, forse qui c’è la spiegazione di tutto. Forse qui c’è il perché sono davvero pochi i grandi numeri 10 della storia del calcio, i fantasisti, ad essere diventati grandi tecnici. Come puoi cambiare atteggiamento? Come puoi all’improvviso reset­tare tutto e fare tu l’allenatore, magari andando dal 10 di turno a spiegare come vincere una partita?

STILE CRUIJFF – Chissà se questo dubbio esiste anche nella testa di Francesco Totti. Magari po­trebbe risultare utile una chiac­chierata con Zinedine Zidane, che con il Real Madrid B e il fi­glio Enzo ora sta provando a farcela. O forse sarebbe più pro­duttiva una telefonata a Johan
Cruijff: forse limitativo definir­lo un fantasista, primo esempio di calciatore totale qual era, è stato l’uomo che ha avviato il mito del tiqui­taca del Barcello­na, vincendo tra l’altro 4 cam­pionati spagnoli e una Coppa Campioni. Ben più fortunato di Michel Platini, che un giorno confessò: «Non pensavo sareb­be stato così difficile far fare a un mio calciatore le stesse cose che in campo mi divertivo a fare io». E infatti la carriera da c.t. della Francia è stata un mezzo disastro: qualificazione a Euro 1988 fallita, idem a Italia 1990, eliminazione al primo turno a Euro 1992. Poi si è arreso, pre­ferendo la politica sportiva: al­tri tipi di dribbling, in fondo.

IN ITALIA C’È MANCIO – Il calcio dalla panchina ama parlare al­tre lingue: Ancelotti certo non era un fantasista, Mourinho un modesto difensore come pure Arsene Wenger. L’elenco qui sa­rebbe infinito. Dall’altra parte oggi c’èRoberto Mancini, l’uni­co italiano già affermato, che proprio Totti si troverà di fronte tra 11 giorni. Gianfranco Zola invece ci sta provando con al­terne fortune, Giuseppe Gian­nini è emigrato in Libano, Robi Baggio un giorno disse di voler provare ma poi ha desistito. Paulo Roberto Falcao non era un 10, ma la fantasia non gli mancava. Ora gli manca la pan­china: «Vorrei continuare ad al­lenare», ha detto di recente. In Brasile però nessuno pare esse­re d’accordo. Mai arrendersi, non si sa mai. In fondo spera pu­re Diego Armando Maradona, che con l’Argentina al Mondiale 2010 si è fermato nei quarti di finale e poi è stato mandato via. A Buenos Aires ricordavano i successi di Messico 1986, si aspettavano il bis e rimasero de­lusi. Ma dalla panchina la «ma­no de Dios» non si poteva fare. Tutta qui, in fondo, la differen­za tra un 10 in campo e un 10 allenatore.

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