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GAZZETTA DELLO SPORT La confessione di Pruzzo: “Ogni tanto penso che dovrei farla finita”

Roberto Pruzzo
Roberto Pruzzo

(A. Catapano) E alla fine arriva l’uomo nero. «Ogni tanto — scrive — penso che sia giunto il momento di togliermi dai coglioni… ». Poi per fortuna arrivano anche i suoi amici, i cacciatori di Dezza, provincia di Lucca, «quelli che riescono a farmi tornare il sorriso allontanando l’uomo nero che ogni tanto mi viene a trovare, gli stessi che riescono a farmi pensare che forse in fondo è meglio aspettare un altro po’». Almeno fino alla prossima visita. Perché l’uomo nero se ne va, ma poi torna. E il Bomber deve aggrapparsi a qualcosa per sopravvivere. «La vita — ci svela — continua ad essere una sfida, come quand’ero sul campo, innanzitutto con me stesso».

NIENTE SCONTI – E cioè con i suoi demoni, tanti quanti i gol che Roberto Pruzzo ha segnato in quindici anni di carriera con Genoa, Roma, Fiorentina e maglia azzurra, e ora tutti insieme — gol segnati e sbagliati, esultanze e arrabbiature, ricordi belli e, soprattutto, brutti — riempiono la sua autobiografia, scritta con Susanna Marcellini per Ultra Sport (sarà presentata lunedì a Roma nella giornata conclusiva della fiera «Più libri più liberi»). Una storia bella e crudele. Il Bomber non fa sconti, prima di tutto a se stesso. «Cosa mi resta della mia carriera da centravanti? I gol sbagliati e le sconfitte. Delle vittorie ho goduto poco, perché sono subito volate via. Le sconfitte no, sono rimaste qui. E ancora ci combatto. La retrocessione in B del Genoa causata anche da un mio rigore sbagliato e la finale di Coppa Campioni persa con il Liverpool (nonostante il mio gol…) ancora mi vengono a trovare ogni tanto».

E in quei casi, oltre agli amici di Dezza e alla moglie Brunella («Ci siamo sposati a vent’anni, mi sopporta da un po’»), gli vengono in soccorso i ricordi di compagni («Uno su tutti: Bruno Conti»), avversari («Brio è diventato un amico»), allenatori («Liedholm è stato un secondo padre») e, per fortuna, anche qualche gol segnato. 57 tra A e B con il Genoa, quando era l’O Rei di Crocefieschi,106 in A con la Roma, quando divenne il Bomber, che gli sono valsi tre titoli di capocannoniere. Almeno un paio vale la pena citarli. «Quello all’Atalanta che evitò la retrocessione alla Roma nel 1979 e quello alla Juve nel 3-0 del 1986, perché corsi sotto la Sud e mi tolsi la maglia per darla idealmente ai miei tifosi: fui il primo a farlo». E l’ultimo, l’unico segnato con la maglia della Fiorentina, proprio alla Roma? Pruzzo lo definisce «un gol da orgasmo». «Perché la mia carriera stava finendo — racconta — e io volevo dimostrare che ancora valevo qualcosa. Forse era scritto nel destino, come il primo che feci in A, anche quello alla Roma». Il calcio di oggi non lo aiuta. «Noioso, ma in realtà non mi è mai piaciuto. Mi sono dovuto appassionare per forza». Inguaribile Bomber.

 

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