(M. Cecchini) – La Grande Bellezza di Douglas Sisenando Maicon, forse, sta proprio nel suo modo di essere eccessivo. Lo racconta la sua vita, impastata di fatalità e magia, di classe e potenza, di voglia di rivincita e puro e semplice amore per il calcio. A 33 anni, d’altronde, quello che per alcune stagioni è stato l’esterno destro di difesa più forte al mondo azzanna il presente con la fame di chi sente che sta per arrivare il momento di alzarsi da tavola. Ma la sfida col Manchester City è pietanza troppo succulenta per non avere l’acquolina in bocca, soprattutto perché – giunto alla corte inglese sull’onda dei trionfi interisti – l’avventura in Premier League doveva essere la consacrazione di una carriera che attendeva solo il Mondiale brasiliano per la definitiva santificazione, non sapendo invece che, a causa (anche) di un infortunio al ginocchio, la storia si sarebbe conclusa con 13 presenze e 801’ complessivi giocati in prima squadra.
IN SALITA «È finito», dissero in tanti quando la Roma un anno fa lo prese dal City gratis. Ovviamente un equivoco, ma il brasiliano in fondo ai «qui pro quo» ci è abituato, basti pensare che i suoi genitori – appassionati di cinema – volevano chiamarlo Michael Douglas come l’attore statunitense. L’anagrafe brasiliana, però, storpiò il nome, che scivolò così nel più aggressivo Maicon. Eccessivo, così come il fatto che mamma Anisia in realtà partorì due gemelli, Marlon e Maicon appunto, suggerendo a papà Manoel, difensore del Novo Hamburgo, una iniziativa dal sapore magico. «Quando nasceranno, seppellisci entrambi i cordoni ombelicali al centro del campo, così almeno uno dei due diventerà un grande calciatore». Manoel obbedì e la profezia in qualche modo si è avverata, anche se gli ostacoli sulla strada del futuro campione non erano finiti. Qualche anno dopo, infatti, un grande lutto colpì la famiglia: il fratellino Elton Luis morì investito da un camion ad appena 8 anni. Una disattenzione? Una disgrazia? Non è dato saperlo. Di certo, l’agguato della sorte si ripetè. «Avevo dieci anni – ha raccontato Maicon tempo fa a Rete Globo – quando vidi papà in strada, andai di corsa a prendere le chiavi di casa e poi quando corsi verso di lui scivolai, finendo sotto una macchina. In quel momento non mi resi conto di ciò che era successo. Rimasi lì sdraiato, mio padre mi prese in braccio e cominciò a piangere: in quel momento pensava di aver perso un altro figlio». Maicon rimase un mese senza camminare, «con papà che mi portava in giro in braccio per tutta la casa».
GUAI E RINNOVO Poi però ha saputo rialzarsi, e ben saldo sulle sue gambe ha saputo conquistare 2 Coppe America e 2 Confederations Cup col Brasile; 1 Champions, 1 Mondiale per club, 4 scudetti, 2 Coppe Italia e 3 Supercoppe Italiane con l’Inter; 1 titolo brasiliano e 3 volte il Mineiro col Cruzeiro. Quanto basta, a Roma, per scaldare il cuore dei tifosi giallorossi come riusciva solo a Cafu, che della Selecao è stato un leader assoluto. Non è stato un caso perciò che il c.t. Dunga – dopo l’epurazione seguita al flop dell’ultimo Mondiale – lo abbia voluto nel nuovo gruppo, anche se a settembre una serata allegra (pare a tinte boccaccesche) gli sia costata un ostracismo che ancora dura. Saliscendi di una esistenza eccessiva, appunto. Come quel ginocchio destro che ha contribuito alle sue fortune e adesso lo tormenta per una infiammazione quasi cronica alla cartilagine che gli impedisce di giocare troppe partite ravvicinate, ma che non ha frenato il club – tra lo stupore di qualcuno – nel rinnovargli il contratto in scadenza fino al 2016.
LA RIVINCITA Niente male per un giocatore che il City aveva dato per finito e che domani invece i ragazzi di Pellegrini si ritroveranno contro con addosso una carica tutta particolare. La stessa, a pensarci bene, che ha messo una decina di giorni fa contro l’ex grande amore nerazzurro. A Trigoria lo raccontano carico. «Voglio fare una grande partita», dice a tutti. E non è un caso che ieri, a fine allenamento, si sia fermato anche a fare una seduta di tiri in porta. Nell’andata di Manchester all’inizio fu, al solito, eccessivo: prima provocò il rigore del vantaggio inglese per un evitabile fallo su Aguero, poi cominciò a macinare chilometri e fece anche tremare la traversa con un gran tiro che lasciò di sasso Hart. Storie alla Maicon, impastate di sfortuna e grandezza. Domani, però, un capitolo in qualche modo è destinato a chiudersi e di sicuro qualcuno si guarderà indietro con rammarico. Tra Roma e City, la Champions è destinata a perdere una protagonista, ma da osservatori ragionevolmente distaccati per dovere di professionismo, fra il sorriso potente dei milionari arabi e quello scanzonato del brasiliano «finito» e poi risorto, non abbiamo dubbi su quale abbia maggiore fascino. Professiamo ottimismo. D’altronde al calcio spesso piacciono le favole a lieto fine