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LA REPUBBLICA La Roma è ancora piccola. Nasri e Zabaleta colpiscono: il City si prende gli ottavi

Garcia
Garcia

(E. Sisti) La fine non era nota, ma per quello che s’è visto non c’erano alternative. Senza Agüero, senza Yaya Toure, senza Kompany, per un’ora senza Silva. Era un City senza colonna vertebrale, eppure è stato capace di vincere per la prima volta in Italia nella sua storia. Questione di carattere. Il calcio è bello, spietato, il campo, quando si arriva alla svolte, dice quasi sempre la verità. Il City vince 2-0 e passa agli ottavi, la Roma scende come una lacrima in Europa League. Ci sarà modo di contentarsi, di riflettere e di ricaricarsi, ma per adesso è una bruciante delusione. Il City dimezzato ha vinto senza scomporsi contro una squadra che aveva in campo tutta la sua meglio gioventù e qualche senatore di lusso. Ha vinto la squadra più calma, matura, che ha umilmente aspettato il momento di colpire, senza farsi mai prendere dal bisogno di segnare, e ne aveva, da quell’urgenza che confonde le idee e nasconde gli obiettivi, sino a renderli irraggiungibili. Tutto questo il City l’ha saggiamente evitato, facendo cadere la Roma nella trappola.

La Roma era partita aggressiva. Ci sono tre o quattro situazioni, nel giro di pochi minuti, in cui i giallorossi rubano palla, innescano attaccanti, trovano spazi, ruggiscono in coro. Ma è più uno scarico di adrenalina (forse accumulata in eccesso) che mero effetto delle valutazioni di campo.La partita in realtà resta a lungo bloccata, il City si presenta prudente, si mette con il 4-4-2 pur ricordando all’avversaria di possedere una natura subdola, incarnata da Nasri (che sarà l’uomo decisivo) che gioca alla Agüero, gironzolando secondo estro e opportunità intorno a Dzeko. La Roma non riesce a trovare armonie fra i reparti, teme di scoprirsi, non fa pressing, la difesa non sale, a centrocampo è preoccupata e così gli attacchi si materializzano solo in azioni isolate, le rare volte che qualcuno si libera sugli esterni alza la testa e si accorge che dentro l’area, perché il gruppo è sgranato, non c’è nessuno ad aspettare. Dopo un’occasione per Cholevas, innescato da Totti (5’), la Roma si dimentica di Hart. Primo tempo che finisce cristallizzato sullo 0-0.

Al 15’ della ripresa Nasri ferma il tempo giallorosso, lo riporta indietro ai cento fallimenti della sua angosciosa storia di occasioni buttate al vento: lasciato libero di aggiustarsi il pallone, esplode un destro che sbatte sul palo e finisce dentro. Ora sono guai. La Roma dovrebbe vincere 2-1, un eventuale 1-1 qualificherebbe comunque il City. Davanti c’è solo salita, non è detto che la bicicletta sia quella giusta per affrontare una simile prova. Il buco in cui precipitare è a un passo, manca mezzora e quando si deve recuperare col cuore in gola trenta minuti volano. Ci vorrebbe l’impresa. Ci prova da fuori Nainggolan al 20’, Ljajic al 21’. In un minuto il palo di Manolas e il tacco di Destro, subentrato a uno spento Totti, respinto sulla linea (27’) rialzano le urla dello stadio ma non cambiano il risultato, né intimoriscono il City. Pellegrini mette dentro Silva, che torna dopo quasi due mesi, per tenere palla. Attività che la Roma svolge con crescente angoscia, foga, imprecisione. Il City si esalta, la Roma è solo confusa, col passare dei minuti i ragazzi in campo sentono che le gambe li stanno abbandonando, chi più chi meno. Segna pure Zabaleta (41′). È giusto così. L’occasione la Roma l’ha avuta, è scesa in campo determinata ma il furore è durato quanto la fiamma che brucia un foglio di carta. Per arrivare a febbraio ci vuole altra benzina, altra testa, altri ritmi. Bisognerebbe essere un’altra Roma.
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