(Il Romanista) – Aria nuova, aria importante, un’aria che tutti volevano, sia noi giocatori, sia noi tifosi. E con Baldini è stato tutto strumentalizzato, sono bastati 30 secondi per chiarirsi.
Un domani dovremo lavorare insieme, abbiamo le carte in regola per farlo». In un’intervista a Sky, resa all’amico Panucci,Francesco Totti dice tutto. Da quello che pensa degli americani al rapporto con Baldini.
Ci sono due persone che conosco bene e che sono tuo padre e tua madre. Quanto sono stati importanti per te? Sono state le persone più importanti per me per tutto, nell’insegnamento, nell’educazione, nel farmi capire il senso del rispetto e, soprattutto, per quello che ho fatto fino a oggi. Se non avessi avuto loro, non sarei qui a parlare oggi. Avere una famiglia che ti segue e ti sostiene sempre vuol dire avere la possibilità di arrivare fino in fondo.
Com’eri da piccolo? Eri come Cristian? Ero un “paravento” come mio figlio Cristian. Nel senso che, come lui, mi divertivo, ero un “giocarellone”, rompevo le scatole a tutti. In certe situazioni, mi rivedo in lui e questo mi fa piacere, era la cosa che sognavo.
Passato il dopoguerra, ci sono stati due grandi numeri 10: uno è Gianni Rivera e l’altro è Francesco Totti. Quando ti sei accorto di vedere quello che gli altri non vedevano? Grazie per il paragone perché vedermi accostato a un giocatore come Gianni Rivera per me è fonte di orgoglio. Non riesco a vedere ciò che vede la gente, perché io devo farlo. Ogni tanto rivedo le immagini delle partite e alcune cose, sinceramente, non riesco a capirle neanche io quando le faccio. Soprattutto certi gesti difficili.
Quanto sei orgoglioso della tua Scuola Calcio? Tanto, perché mi piace vedere i bambini che si divertono, che giocano. Poi lo sport è fondamentale per i bambini, soprattutto quando sono così giovani. E’ uno sfogo, un divertimento, un passatempo. È una cosa che mi piace seguire e spesso vado a vedere come si comportano.
Il 28 marzo del ’93 esordisci a Brescia. Sono passati quasi vent’anni. Pensavi che avresti avuto una carriera così bella? No, non pensavo che avrei avuto una carriera così prestigiosa. Ma, da quel momento, ho pensato che il calcio fosse il mio lavoro principale. Più che un lavoro, una passione che ho sempre avuto fin da piccolo. Ho sempre cercato di dare il massimo e sono arrivato fino a questo punto.
Mazzone è stato molto importante per la tua carriera. Com’era il tuo rapporto col mister ? Tuttora lo ringrazio, perché per me è stato come un secondo padre. Ho avuto la fortuna di averlo negli anni più importanti di un giocatore, tra i sedici e i diciannove anni. Fortunatamente mi ha gestito nel migliore dei modi, anche perché in una città importante come Roma non è facile gestire un giovane, soprattutto romano, che la gente voleva che giocasse, invece lui mi teneva un po’ distante da tutto.
Cosa ti ricorda il 4 settembre del ’94? È un ricordo bellissimo, che porterò con me per tutta la vita, anche perché in quel giorno ho fatto il mio primo gol in Serie A contro il Foggia. Un ricordo particolare, bello.
Nel ’98-99, con Zeman, diventi capitano della Roma. È stato il tuo primo grande salto di qualità? Sì, perché essere il capitano della Roma è una cosa che mi inorgoglisce, che ho sempre pensato di fare e cercherò di fare nel migliore dei modi. Ho avuto la fortuna di realizzare questo sogno.
In quell’anno diventi anche rigorista della Roma. Sì, non c’era nessuno!
A volte, basta sbagliare un rigore per far scoppiare un putiferio. Purtroppo nel calcio capita anche questo. Io di rigori ne ho sbagliati parecchi anche se ne ho davvero tirati tanti.
Cosa ti è dispiaciuto di quello che hanno detto dopo l’ultimo rigore fallito davanti a Buffon? Vorrei specificare lo sfogo post partita nei confronti dei tifosi della Roma, che so quanto mi amino e mi vogliano bene la maggioranza di loro, e la cosa è reciproca. Però, mi è dispiaciuto il modo in cui si sono esposti in certi momenti, soprattutto davanti ai miei figli. Finché la critica è costruttiva, accetto tutto a testa alta, ma se mi offendono davanti ai miei figli non ci sto. Non volevo offendere i tifosi, ma mi sono sentito tradito quando ho dato il mille per mille per questa maglia e ci ho messo la faccia.
Quando fai lo scavetto però sei apprezzato da tutti… Quando segni salgono tutti sul carro dei vincitori…
Senti di avere un potere mediatico? Io personalmente non lo vedo, ma lo percepisco. So ciò che si scatena quando faccio un’intervista… Le persone intorno a me che mi vogliono bene me lo fanno capire.
Se ti danno del coatto? Mi incazzo. Mi incazzo perché non lo sono mai stato. Sono nato a San Giovanni io…
Che ricordo hai della stagione 2000-2001? Un ricordo troppo bello, perché sono riuscito a realizzare quello che ho sempre voluto, cioè vincere lo scudetto con la Roma da capitano, da protagonista. Fortunatamente, ho capito cosa significhi vincere uno scudetto a Roma.
Il tuo rapporto con Capello. Ho sempre rispettato sia la persona, sia l’allenatore. Ho sempre avuto un buonissimo rapporto con lui. Quando è andato via c’è stato un piccolo screzio, ma è finita là, anche perché è uno degli allenatori che ho sempre stimato e stimerò sempre.
Perché è più difficile vincere a Roma? Per me è l’ambiente che è difficile. Io, fortunatamente, ho la possibilità di conoscerlo, so cosa vorrebbero dalla squadra, dalla società, dai giocatori. Però, purtroppo, non sempre nel calcio si possono trovare cose che tutti vorrebbero.
L’anno dopo lo scudetto sono arrivato io… Che culo…
Tutti dicevano che la Roma era ancora più forte di prima, ma non riusciva più a vincerlo. Perché è così difficile confermarsi a Roma? Abbiamo avuto la possibilità di vincere non solo l’anno dopo ma anche in quelli successivi, finché c’era Capello. Purtroppo abbiamo sbagliato le partite più importanti, due o tre di quelle decisive, ed è cambiato tutto.
Nel 2003 esce il tuo libro delle barzellette. Da dove nasce questa idea? L’idea era quella di fare dell’autoironia, perché in quel momento c’erano troppo persone che mi prendevano in giro, soprattutto sulla vita privata, e mi dava fastidio. Allora sono voluto tornare indietro, ho voluto ripartire da zero e scherzare su me stesso. Credo sia stata la cosa più bella che potessi fare.
Nel 2005 conosci la persona più importante, Ilary. Che ricordo hai di quel periodo? Ilary, per me, è tuttora importante perché mi trasmette serenità, è una persona tranquilla, gioiosa, mi ha aiutato nei momenti difficili che ho attraversato in alcuni anni. È una persona intelligente e una mamma perfetta, una persona davvero speciale, sempre solare, e poi in più mi ha dato questi due gioielli. Perciò è unapersona indiscutibile.
Meglio “Vi ho purgato ancora” o “Sei unica”? Due cose differenti, ma che difficilmente dimenticherò. Il primo è stato un gesto istintivo, fortunatamente ho segnato. Al derby non sono mai decisivo, così dicevano. Poi invece ultimamente…
Poi arriva Spalletti. A Genova, contro la Sampdoria, mancavano quattro attaccanti e mi disse: “Te la senti di giocare da prima punta?”. Mi son detto “Proviamoci, i piedi sono quelli”. Al massimo finisce 0-0. Invece, da quella domenica ho segnato e non mi ha più levato da lì. In quel momento ho capito che quello era il ruolo che preferivo.
L’infortunio prima di Germania 2006. Ho un ricordo bruttissimo perché è stato il mio primo infortunio serio. Ho subito capito che fosse grave, tenevo la caviglia, ma era come se non ce l’avessi. Durante l’intervento ho pensato a tutto. Avevo paura, pensavo al Mondiale e poi, con la forza e la determinazione che ho sempre avuto, sono riuscito a uscirne fuori.
Quanto ti ha fatto crescere a livello umano quell’esperienza? Tanto, perché ho capito alcuni aspetti di me stesso. Ho capito, con la rabbia e la determinazione, che potevo tirarmi su anche da solo.
Arrivi al Mondiale al 50%. Quanto devi a Lippi? Il giorno dopo l’intervento è venuto a Villa Stuart e mi disse “Tu vieni anche così, sì”. Lì ho avuto la forza di ripartire e di accelerare i tempi. Sono grato a lui, abbiamo vissuto una grande esperienza e una grande vittoria. Ci siamo abbracciati e gli ho ricordato il giorno dell’intervento.
Con Spalletti, a livello europeo, la Roma ha accresciuto il suo prestigio. Sì, soprattutto in Champions League, abbiamo fatto dei miglioramenti anno dopo anno. Purtroppo, l’episodio di Manchester ha bloccato ciò che volevamo tutti… E’ difficile vincere la Champions, non impossibile perché niente è impossibile. Ma vincerla sarebbe stato un privilegio.
Che ricordo hai del 7-1 di Manchester? Speravo che la partita finisse il prima possibile, perché era un incubo. Facevano bene a entrare da tutte le parti, perché quando capita che una squadra ha la possibilità di asfaltare è giusto che si faccia.
Nello spogliatoio eravamo tutti umiliati, tristi. Tu dicesti: “Ve lo avevo detto di non usare la Playstation 3, la 2 la conosciamo meglio”… Fu una sconfitta umiliante per noi ma soprattutto per i tifosi. Bisognava sdrammatizzare, fu una battuta che ci stava, ci ha fatto ridere, oramai era successo.
In quel periodo, in Italia, l’Inter era la squadra più forte? Sì, purtroppo abbiamo incontrato l’Inter più forte di tutti i tempi, era devastante. Speravamo di vincere lo scudetto, purtroppo non ci siamo riusciti.
Ti sarebbe piaciuto lavorare con Mourinho? A dirti la verità sì, mi sarebbe piaciuto lavorare con lui. Conosco dei giocatori che ci hanno lavorato e mi hanno detto che è una persona oltre che un professionista di alto livello. E’ un tecnico e una persona che ti dà tanto.
Dopo 4 anni dalla Scarpa d’oro sei ancora qui.Fortunatamente, vuol dire che sono ancora integro. La Scarpa d’Oro l’ho vinta anche e soprattutto grazie alla squadra, il merito fu il tuo e del resto della rosa.
La famiglia Sensi. Per me è stata tutto. Ho vissuto i miei 20 anni di carriera con loro. E’ tuttora un ricordo bellissimo, solo cose positive, mai uno screzio con Franco e con Rosella. Ho sempre avuto un grandissimo rapporto, è anche grazie a loro che sono riuscito a rimanere ed indossare un’unica maglia.
Ora ci sono gli americani. Che aria si respira? Aria nuova, aria importante, un’aria che tutti volevano, sia noi giocatori, sia noi tifosi.
Con gli americani è arrivato anche Baldini, tutto ok con lui? Tutto strumentalizzato, anche perchè quando è venuto a Roma c’è stato un chiarimento che è durato 30 secondi, anche perché con lui ho sempre avuto un bellissimo rapporto, e tuttora ce l’ho. E soprattutto lo avrò in futuro, anche perché un domani dovremo lavorare insieme e abbiamo le carte in regola per farlo.
Già inizi a pensare da dirigente? Questo ancora no. Penso ancora a giocare perché mi sento ancora giocatore, quando butterò la spugna penserò a fare il dirigente o fare altro
Il progetto Luis Enrique ti piace? Sì, mi piace perché è un allenatore che ha portato una nuova mentalità, non dico un nuovo gioco perché il gioco è sempre uguale: cambia il modulo ma calcio per me resta sempre quello. Ha delle prospettive, ha idee importanti e noi fortunatamente gli stiamo dietro per cercare di capirle il prima possibile.
In questo progetto quali sono i tuoi obiettivi? Vincere qualcosa prima di smettere. Anche perché parlando con i dirigenti mi hanno detto che faranno una grande Roma.
Nella tua carriera, sei stato vicino ad andartene veramente da Roma? Sì, in alcuni anni c’è stata la possibilità di potermente andare, ma io ho sempre voluto indossare un’unica maglia perché ho sempre tifato per questa maglia. Non ho mai voluto tradire i tifosi della Roma, e fortunatamente è stato uno di risultati più importanti della mia carriera.
Cosa diresti a De Rossi se fossi Baldini? Gli direi: “O firmi, o firmi. Sei tifoso della Roma, fai parte del progetto, è giusto che firmi a qualsiasi cifra. No? Per il bene della società, a qualunque cifra”. Scherzi a parte, spero che possa firmare il prima possibile.
Quanti scudetti meritava la Roma in quesi 20 anni? Quattro o cinque. Due-tre con Capello, uno vinto con lui e uno con Spalletti. E poi uno con Ranieri, che avevamo quasi vinto. Perciò sei. Con sei scudetti potevo pure smettere…
Quando smetterai, che fine farà la tua maglia numero 10? L’importante è che, chiunque la prenda, la indossi come l’ho indossata io. È una grande responsabilità, sarà dificile. Anche perché il 10 va a uno forte, compreranno un nuovo Totti, sperando che ci sia…
Il paragone tra te e Ilary con Sandra e Raimondo? Loro erano la coppia italiana perfetta, un mito per tutti. Due persone eccezionali, squisite, bellissime da vedere. Un giorno chissà, imitare loro sarà impossibile…Un giorno, più in là, ci penseremo.
Io ho avuto la fortuna nella mia carriera di vincere in diversi ambienti, ma ho conosciuto pochi giocaori determinanti. E te eri uno di quelli. Per me è stato un grande onore giocare con te, e avere il tuo rispetto e la tua amicizia. Ti ringrazio tantissimo, perché è una cosa che non faceva parte del programma. E’ una cosa che ti sei sentito di dire e ti ringrazio. Lo sai come so fatto io… Ti ho sempre stimato come giocatore e come persona. Avevamo la fortuna di frequentarci anche fuori dal campo e ti ho sempre portato rispetto. E nel calcio è difficile portare rispetto a tante persone. Sei una persona vera, dici quello che pensi in faccia a tutti e questo ti rende un uomo.