(F. Bianchi) – Come le influenze di questo inverno pigro e lacrimoso, anche la pareggite della Roma è un virus che non passa mai. E lo scudetto, se ci fosse stato ancora bisogno di una conferma, fugge via prima ancora di aspettare la primavera. Siamo al sesto pareggio nelle ultime sette partite di campionato (di cui quattro 1-1), l’ottavo nelle ultime 11. A conferma del virus, sono otto le “X” nelle ultime undici gare in totale. Un cammino da lumaca, come i suoi giocatori in campo.
STONATURE Persino il disastrato Verona, che ha le gambe che tremano e la panchina che scricchiola, è riuscito a fermare l’orchestra Garcia che orchestra non è più da tempo. Continua a tenere la bacchetta del concerto in mano, insiste a proporre musica geometrica e di larghe idee. Ma è come se suonasse a 33 giri. Adesso alla Roma tocca esibirsi in Olanda, contro il Feyenoord che ieri ha battuto in rimonta l’Excelsior, con il morale sotto gli strumenti, e poi nel big match con la Juventus che doveva arrivare con ben altre aspettative. Sarà comunque decisivo per la Roma, solo che l’obiettivo è cercare di non farsi raggiungere al secondo posto.
LA CHIAVE Se si analizzasse la sfida soltanto con le statistiche, staremmo qui a domandarci: com’è possibile che la Roma non abbia vinto? Ha avuto unpossesso palla del 76,7 per cento. Un’enormità. Di più, un record per il campionato in corso. Il regista Keita ha collezionato 118 passaggi positivi. Tutti segnali di una gara dominata. Ma i numeri ingannano. Certo, ha giocato soltanto la Roma, soprattutto nel primo round. Ma non ha mai trovato uno sbocco, un guizzo per creare pericoli in area. Ritmo troppo lento per scoperchiare la barricata anni Cinquanta del Verona. Troppi passaggi in orizzontale (e Keita un po’ di responsabilità ce l’ha) che permettevano alla squadra di Mandorlini di piazzarsi sempre nel modo migliore. Soltanto Ljajic cercava qualche spunto, ma trovava poca collaborazione. E Gervinho, l’uomo deputato al cambio di passo, s’incartava nei suoi dribbling. Non a caso la Roma ha trovato il gol da fuori area, con un’intuizione di Totti e la complicità di Benussi poco reattivo. Non a caso anche le altre occasioni sono arrivate da lontano, con le sassate di Nainggolan (uno dei pochi a mantenersi su buoni livelli) e la punizione di Ljajic finita sulla traversa.
REAZIONE E FORTUNA Detto questo, il Verona è stato fortunato a pescare il pareggio con la doppia deviazione Astori-Keita sulla zuccata di Jankovic da corner di Hallfredsson. E’ stato l’unico tiro in porta del primo round di un Verona troppo rinunciatario ma che ha meritato il pari per come ha reagito nel secondo. Mandorlini ha fatto alzare il baricentro alla squadra e, data la lentezza rivale, ha intravisto la possibilità di colpire in contropiede. Quasi ci riusciva alla seconda ripartenza, quando l’Hallfredsson uomo ovunque si è trovato tra i piedi il match ball ma anche Torosidis (sostituto di Florenzi, k.o. a fine primo tempo) davanti alla porta, che ha salvato. Sarebbe stato francamente troppo. Dopo il pericolo Garcia ha ridato una chance a Doumbia togliendo Totti, ma la situazione è peggiorata. E poi forse ha speso troppo tardi Verde per Pjanic. Il ragazzino poteva dare più freschezza. Ma tant’è. L’ultima mezzora è stata una musica triste, arresa alla situazione. Tranne che per il Verona: dopo tre sconfitte di fila, finalmente un punto pesante. Buona medicina prima dello scontro salvezza col Cagliari