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LA REPUBBLICA Juve felice ma non troppo. Tevez vede lo scudetto, ma Keita lascia la Roma a -9

Tevez
Tevez

(E. Gamba) – La partita più eccitante (?) della stagione calcistica italiana è stata una matassa di nervi e un insulso pareggio che non ha detto niente che già non si sapesse: la Juve ha lo scudetto in ghiacciaia perché ha virtualmente aumentato di un punto il vantaggio e la Roma ha tanta strada da fare prima di arrivarle al passo, anche se alla fine ha artigliato un orgoglioso 1-1 in inferiorità numerica o forse no, perché se dopo l’espulsione di Torosidis i giallorossi sono rimasti in dieci, prima dei cambi di Garcia (azzeccatissimi, al contrario della formazione di partenza) erano in otto, o in nove se non si vuole mancare di rispetto a Ljajic, uno dei tre sostituiti per provare a organizzare un disperato assalto. Gli altri due? Totti e De Rossi, mai visti né sentiti. In compenso ieri si è fatta sentire la Uefa, che ha aperto un’inchiesta sul razzismo dei tifosi del Feyenoord dopo i fatti di Rotterdam. Nel nostro piccolo cortile, in- vece, è stato masticato un pareggio insipido, sul quale la Juve spargerà il sale dei rimpianti e anche dei rimorsi, perché se è vero che la punizione di Tevez è stato l’unico tiro in porta che ha fatto (e l’unico vicino ai pali, un diagonale di Vidal al 5’ st), aveva comunque il controllo della partita, e un abisso di vantaggio a sua disposizione dopo avere giocato sempre a protezione di sé, con la convinzione che il pareggio valesse due punti (e li è valsi): per via dei confronti diretti, ora la Roma dovrà fare dieci punti più degli altri, se vorrà vincere lo scudetto. E in ogni caso, volere non è potere.

La formazione di Allegri se n’è rimasta acquattata con un baricentro mai così basso e il progetto di impedire a Totti di sventagliare e soprattutto a Gervinho e Ljajic di trovarsi nella condizione di uno contro uno: difatti non è mai successo, come minimo un frustrante uno contro tre, prima che il finale pazzo squadernasse le intenzioni. Ma poi non è che la Roma abbia scatenato chissà quale senso di incoscienza, perché anche Garcia ha tenuto la linea difensiva molto bassa per preservarsi dalle scavallate di Tevez e Morata, che di- fatti si sono intasati dietro vicoli ciechi. L’unico che abbia proposto variazioni sul tema è stato Pereyra, se non altro per l’insistenza. Tiri in porta? Zero, prima dei gol. Brividi? Mezzo qua e mezzo là. La mondovisione dev’essere stata una lagna indefinibile. La Juve, in sostanza, ha fatto i suoi interessi mentre la Roma ha sempre dato l’idea di giocare con la paura addosso, o per lo meno con un inalienabile senso (complesso?) di inferiorità che ha picchiettato con insistenza su nervi già molto tesi, anche se l’episodio disciplinare che ha scoperchiato la partita, ovvero l’espulsione di Torosidis, ha avuto un sentore di casualità, visto che il greco ha rimediato la seconda ammonizione per uno sgambetto quasi involontario a Vidal, che però stava filando verso la porta. Il fatto è che la superiorità numerica non ha avuto incidenza quando la Juve ha segnato, perché Tevez ha pennellato una punizione manco fosse Pirlo, e l’avrebbe messa lì nell’angolo anche contro un di- fesa di cento uomini, ma ha paradossalmente inciso sulle carni della Roma che s’è fatta scuotere dalla disperazione, dentro la quale ha recuperato energie e perlomeno orgoglio, liberandosi delle remore, alleggerendosi la coscienza, vuotandosi la testa da tutte le tare e trovando infine una ventina di minuti ruggenti, durante i quali è arrivato il primo tiro in porta della partita (Manolas, colpo di testa) e poi il gol di Keita, sempre su quelle punizioni laterali che la difesa juventina, e nello specifico Caceres, guarda con troppa indifferenza e indolenza: è un difetto che Allegri non ha ancora imparato a risolvere, così come i vuoti di memoria in cui la squadra piomba quando la partita sembra troppo comoda da vin- cere, e ieri pareva stesse sul sofà, quasi pisolante. La Roma le ha abbaiato in faccia, rimediando l’ennesimo inutile pareggino, il settimo nelle ultime otto partite.

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