(A. Frosio) – È stata la partita che la Juventus immaginava, voleva e aveva impostato: difesa ordinata, dieci uomini dietro la linea del pallone, chiusura di ogni traiettoria di passaggio, zero profondità concessa tenendo sempre tre uomini fissi a guardia dell’area di rigore. Max Allegri l’ha pensata così perché la Roma ha confermato i tanti difetti di questo periodo. Da quando non ha più un centravanti, di fatto Garcia ha visto svuotarsi completamente l’area di rigore. Né si è capito, di conseguenza, il progetto secondo il quale i giallorossi avrebbero dovuto far male alla Juventus.
TUTTI IN FILA La Roma ammassava giocatori da un lato del campo – Gervinho,Ljajic e Totti sempre molti vicini, pure troppo, su una fascia, di solito la destra -, dove la Juve chiudeva gli spazi e costringeva i giallorossi a cambiare campo. Ma dall’altra parte, a quel punto, si ritrovava da solo Holebas, con quaranta metri di campo davanti sgombri di compagni di squadra ma sempre con un avversario, se non due, da fronteggiare (il terzino bianconero più l’aiuto costante della mezzala, Pereyra da quella parte). A quel punto, aveva un’unica soluzione: il cross dalla trequarti, sempre preda dei centraloni juventini in un’area con un solo romanista e troppi bianconeri, o dover ricominciare il giro palla. Che la Roma ha sempre effettuato in modo troppo lento e statico. La squadra di Garcia ha sì amministrato il possesso ma in modo orizzontale, senza creare pericoli. Il grafico delle posizioni medie della Roma è particolarmente significativo: sei giocatori praticamente sistemati in verticale uno sull’altro, da De Rossi, il più arretrato, a Gervinho, il più avanzato, e i due terzini solitariamente abbandonati a gestire la zona esterna del campo. Soltanto Keita ha provato qualche inserimento senza palla in zona centrale.
COPRIRE E RIPARTIRE Per la Juve muscolare per caratteristiche dei giocatori in campo, più votata al sacrificio che alla costruzione e alla corsa in assenza diPirlo e Pogba, è stato fin troppo facile rinchiudersi centralmente. E da lì poi ripartire. Tevez è arretrato spesso a protezione, pronto a scattare come una molla a quel punto ben assistito dalle corse dei due interni. Nel primo tempo l’ha fatto di più Pereyra, ma con poca precisione alla conclusione, e nel secondo Vidal in modo decisivo: suo un diagonale finito fuori di pochissimo, suo l’inserimento che ha costretto Torosidis al tocco da dietro, alla seconda ammonizione e alla punizione che Tevez ha magistralmente trasformato in gol. Soluzione particolarmente efficace perché il terzino greco doveva andare di rincorsa, essendo «alto» per allargare il campo in fase di costruzione, e perché De Rossi – centrale difensivo aggiunto in questi casi – ha faticato a tenere il passo dei mediani juventini lanciati in avanti. Il pareggio poi è stato frutto del finale da «non abbiamo più niente da perdere» da parte della Roma e anche dal dinamismo che hanno aggiunto Florenzi, bravo nelle due fasi,Nainggolan e Iturbe. Anche qui dati significativi: Gervinho ha cercato due volte il dribbling con uno riuscito e uno negativo, per Ljajic zero dribbling tentati (e un solo dribbling tentato e perso, per Totti); per contro, in una ventina di minuti, tre dribbling positivi su tre sia per Florenzi sia per Iturbe. Cambiare prima, no?