(A. Pugliese / D. Stoppini) – Erano state proprio dieci partite, all’inizio dell’era Garcia, a far sognare un po’ tutti, quasi sulla scia di un entusiasmo senza fine. Saranno altre dieci partite, quelle che mancano alla conclusione del campionato, a decidere il futuro della Roma e dell’allenatore. Perché, al di là delle dichiarazioni ufficiali e delle prese di posizione pubbliche, è evidente che il piazzamento finale della Roma farà tutta la differenza del mondo. Per gli equilibri economici del club, per la composizione dell’organico che verrà e per la posizione dello stesso Garcia. Quello delle dieci vittorie consecutive, la scorsa stagione, sembrava la novità assoluta del calcio italiano, il volto capace di portare una ventata di novità un po’ ovunque. Quello che in queste ultime dieci partite deve traghettare la Roma in porto (leggi Champions League) è un uomo che ha deciso di combattere, di andare in guerra, di vincere lo stesso la sua battaglia. Nonostante tutto e tutti. E per questo ha già cominciato con il fare delle scelte nette, importanti, diverse da quelle che lo hanno accompagnato in questi ultimi mesi giallorossi di mare in tempesta.
DENTRO O FUORI Rispetto alla Roma che sognava l’Europa o di alzare trofei, quella attuale è una squadra molto più libera. Più nelle gambe che nella testa, ma la vittoria di Cesena potrà aiutare anche da quel punto di vista. Va preso il lato giusto della vicenda: il fatto di essere oramai fuori dalla corsa per qualsiasi trofeo può almeno aiutare il gruppo di Garcia a lavorare e concentrarsi esclusivamente proprio su queste dieci partite, quelle che mancano alla fine del campionato. Da Napoli al Palermo, passando per il derby. Perché in fondo un derby infinito sono questi due mesi di stagione. E allora è giusto curare ogni dettaglio. Quasi come un cerchio che si chiude: il Napoli pare il Livorno, Pasqua 2015 come agosto 2013. Quel giorno la Roma era azzerata, reduce dalle macerie di un’estate passata a giocare al tutti contro tutti. E sì che tutto torna, perché a Trigoria non s’è più vista una contestazione. Fino al pre Cesena, fino a nuove macerie, almeno nella simbologia di una tifoseria delusa perché convinta di aver spiccato il volo e invece ritrovatasi a lottare ad altezza uomo. La magia non c’è più. La magia va ricostruita, nelle ultime 10 giornate. Cesena vale come mattone, fondamenta di un secondo posto tutto da costruire. Con tutte le conseguenze del mondo. Per la Roma, che davanti a sé ha una volata per regalarsi un’estate senza il patema d’animo dei preliminari Champions League. E per lo stesso allenatore, il cui destino — oltre che la sua forza — è con ogni probabilità appeso alla qualificazione europea.
SIMBOLISMI Dentro o fuori, non c’è altra via. E allora per imboccare la strada giusta Garcia ha riazzerato la Roma: le scelte di formazione di Cesena hanno avuto il sapore di un limite passato. «Gioca solo chi ha voglia di fare la guerra», è il pensiero del francese. Che oggi, alla ripresa a Trigoria, ritrova un ambiente più sereno, rassicurato da una vittoria e dal mancato sorpasso in classifica della Lazio. E chissà che, dalle prime 10 alle prossime 10, non sia stato un simbolo che il gol vittoria di Cesena sia arrivato dai piedi di De Rossi. L’uomo che avviò l’era Garcia a Livorno, è lo stesso che tenta di lanciare la volata Champions nel verso giusto, partendo dalla pole position. In fondo, non il miglior risultato immaginabile a inizio stagione. Ma pur sempre una posizione di favore per quella chiesetta al centro del villaggio.