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LA REPUBBLICA Dal mercato al potere in Figc: il lunghissimo derby di Roma che ora vale il secondo posto

Lotito Pallotta
Lotito Pallotta

(G.Cardone/M.Pinci) – Una ha l’obbligo morale di non fallire, l’altra insegue il sogno non più utopico di superare la rivale. Roma non fa la stupida, non più: il campionato “degli altri”, quello alle spalle della Juve in fuga, vive in esclusiva o quasi nei vicoli e nei bar della Città Eterna. Roma e Lazio divise da un punto e pronte a vivere un derby lungo dieci giornate, con il clou già temuto dello scontro diretto alla penultima, il rischio di un nuovo psicodramma in stile 26 maggio 2013 tra chi staccherà il biglietto per l’accesso diretto in Champions e chi dovrà passare per i preliminari, una differenza — se va bene — di 7 milioni d’introiti.

Una sfida inattesa non più tardi di due mesi fa: l’8 febbraio un baratro di 12 punti divideva i giallorossi dai biancocelesti, sesti in griglia. In cinque giornate, la Lazio ne ha rimontati 11 e prima della sosta già sperava nel sorpasso. Il proposito è solo rimandato al sabato di Pasqua, ma non c’è dubbio che la Capitale torni a vivere un’emozione dimenticata nel 2001: la Roma vinse il titolo dopo il testa a testa con la Juve, sì, ma anche con i condomini cittadini campioni in carica. Stavolta rispetto a 14 anni fa la rivalità è addirittura più sentita nei centri di potere che nelle strade.

Se Sensi e Cragnotti si punzecchiavano per celare strategie condivise su diritti tv e politica sportiva, oggi le posizioni non potrebbero essere più conflittuali: Pallotta è il principale oppositore al potere in Lega e Figc, di cui Lotito è alfiere iperattivo, e chi frequenta il palazzo racconta di vivacissimi alterchi. Come quando a gennaio il presidente laziale s’infuriò per il solo fatto di aver avuto un posto accanto al giallorosso Destro: «Vicino a un romanista non mi siedo», urlò. Altre volte il dg giallorosso Baldissoni aveva preso la parola in Lega contro Lotito: «È ora di cambiare certi metodi da lui applicati nella gestione del potere».

Il cavallo di battaglia di Claudio Massimo sono invece i bilanci: «Nel 2014 la Roma ha perso 38 milioni, gli auguro di adeguarsi presto ai parametri del fair play finanziario, noi lo facciamo da 10 anni». Norme, quelle europee sui conti, che il numero uno biancoceleste ha fatto introdurre — qualcuno dice per mettere in difficoltà il club di Pallotta — anche in Figc. In effetti il monte stipendi della Lazio, 47 milioni, è inferiore di oltre la metà a quello della Roma. Che però compensa con le invenzioni sul mercato del ds Sabatini, un ex laziale che Lotito aveva provato a tenere con sé nel 2008, chiudendolo in un ristorante pur di non lasciarlo andare via, al Palermo. E proprio con il Palermo Sabatini soffiò a Tare, che lo aveva sostituito a Formello, l’argentino Pastore, grazie ai rapporti costruiti con il padre dell’argentino, aprendo una crepa profondissima. Replicata la scorsa estate quando i giallorossi strapparono Astori alla Lazio: scippo meno fortunato, sfruttato da Tare per prendere De Vrij, che piaceva alla Roma. Ma il capolavoro del ds laziale resta il colpo Felipe Anderson, invidiato (e prima scartato) dai rivali. Dieci giornate alla verità: il derby lungo sessanta giorni è appena iniziato.

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