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IL MESSAGGERO Pallotta cancella gli ultrà

James Pallotta
James Pallotta

(U. Trani) Prima di pranzo, ora di Boston, James Pallotta si affaccia su Twitter per la chat con il popolo giallorosso. Un’ora e mezza di chiacchierata, nel giorno del via alla campagna abbonamenti, per «dare l’opportunità ai tifosi di dire la loro e di fare domande». Così anche il presidente ha avuto la possibilità di dare qualche risposta interessante. Sul presente e sul futuro della RomaUn paio, però. Non di più. Per fare chiarezza su argomenti di freschissima attualità. E’ stato definitivo sia sul rapporto con gli ultrà che su quello con Garcia. Non cambia certo idea sui primi che vuole eliminare; nè sul tecnico che conferma, senza curarsi di chi lo ha già scaricato da tempo. Il tono del tam tam, analizzando sia gli interrogativi della gente che le repliche dello statunitense, è cosparso di miele.

Alcune questioni, forse più intrigranti, evaporano quasi d’incanto, come se in America non fossero mai arrivate. Nè ieri e nemmeno prima, quando è cominciata la rimonta della Lazio (mai nominata). Mr. Jim, pur dando il colpo di grazia a chi continua a insultarlo, per iscritto è meno arrabbiato di quanto lo era stato nell’intervista alla radio di casa dieci giorni fa. Anzi scherza su quel fucking idiots con cui ha etichettato gli autori degli striscioni contro la mamma di Ciro Esposito, ma solo perché chi lo stuzzica usa proprio quello come nickname, ricevendo il complimento da oltreoceano: «E’ davvero bello…». Oppure quando, diventato «silly» (stupido), aggiunge del suo al vaffa (più go home) che spunta quasi nel finale: «Sarà questo il prossimo striscione a Trigoria?».

PUNTI FERMI –  «Vogliamo sbarazzarci di quelle persone chi non si comportano da veri tifosi: per cambiare cultura, serve tolleranza zero». Pallotta, chiarendo come mai non ha fatto ricorso per la squalifica della Sud, di fatto scarica gli ultrà, dividendo la tifoseria in due: (tanti) buoni e (pochi) cattivi. «Io ho sempre difeso la maggioranza, in ogni angolo del mondo, perché ha sempre sostenuto la Roma». Ma, quando biasima chi non lo ha fatto nella fase cruciale della stagione, va un po’ oltre giustificando i giocatori «mentalmente condizionati», come se i fischi meritati fossero arrivati prima dei risultati scadenti. La squadra è raggiante per l’intervento, sentendosi finalmente tutelata. I fans (così li chiama lui) gli ricordano invece i cori affettuosi della Sud dopo il crollo del 21 ottobre contro il Bayern (7-1), nella notte più buia dell’annata. Il presidente si sposta sulla contestazione del 19 marzo all’Olimpico per la terza eliminazione, nuovo ko con la Fiorentina e addio all’Europa League dopo i flop in Champions e Coppa Italia. E insiste sul «piccolo gruppo», capace comunque di gettare «m… sui giocatori». Ammette di essere deluso pure lui. Ma non abbastanza per separarsi da Garcia: «Non c’è stata alcuna discussione sul fatto che Rudi potesse andar via a fine stagione».

VAGO ALLA META –  «La Roma è il mio amore e anche la mia prima attuale attività. Mai, però, ho detto che sono venuto per far soldi». Pallotta conferma che il progetto è a lunga scadenza. E che, ci mancherebbe altro, di scudetti ne vuole vincere «tantissimi». In Champions, invece, vuole starci ogni anno. «E sono sicuro che parteciperemo alla prossima». Si sbilancia: «Con il nuovo stadio saremo tra le prime cinque d’Europa». Solo in dirittura fa riferimento alle ultime 8 giornate e al testa a testa per il secondo posto. Senza accennare alla Lazio. Nè al bomber che i tifosi gli chiedono. Se proprio deve parlarne, esalta chi è in rosa. «Abbiamo già ottimi attaccanti: sono solo stati sfortunati, per gli infortuni avuti». Più che gli errori di mercato, ammessi anche da Sabatini, sono i continui guai fisici dei giocatori ad averlo infastidito. «Qualcuno potrebbe essersi verificato per colpa nostra». Non bastano gli alibi a chi gli scrive: «Signor presidente, ma lo sa che i nostri attaccanti hanno segnato meno del difensore Glik?». Black out internazionale. Come sulle gaffe tecniche. Che ammette, ma non pubblicizza: «Abbiamo fatto errori che, però, ci sono serviti per imparare. Il prossimo anno saremo organizzati meglio». L’ultima promessa è d’obbligo. Come il primo successo.

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