(A.Santoni) La sua convocazione ha riacceso la polemica sugli oriundi. Lui ha risposto, ringraziando il ct e la sua attuale squadra.
Pablo Osvaldo, il suo arrivo in azzurro ha riacceso l’eterna questione degli oriundi.
«Calcisticamente sono cresciuto qui; l’Argentina, mio Paese natale, non mi ha mai dato la possibilità di giocare in Nazionale. Io la mia scelta l’avevo già fatta. Prima ho detto sì alla Under 21, ora eccomi qui. Con merito e con diritto: io mi sento italiano, ho una moglie italiana, due figli italiani. Sono argentino ma sono anche italiano».
Eppure ci sono stati alcuni politici della Lega che hanno contestato la sua chiamata.
«Mi viene da ridere. Mi pare poi che loro critichino tutti, anche i giocatori italiani, soprattutto del Sud. Mi sa che sono più italiano io di loro».
Inevitabile chiedere se canterà l’inno d’Italia. Un suo predecessore e amico, Camoranesi, non lo ha fatto.
«Ho parlato con Mauro, era contento per me. Con lui ho un buon rapporto. Però io l’inno l’ho sempre cantato, anche nell’Under, anche venerdì in panchina a Belgrado, non è un problema. Non credo sia una mancanza di rispetto verso nessuno. Credo sia una bella cosa, che faccia piacere ai tifosi».
Come è nata la sua amicizia con l’ex juventino, più grande di lei di 10 anni per altro.
«Forse amicizia è troppo però è vero che con Camoranesi parliamo spesso. Abbiamo iniziato a farlo prima da avversari, ci siamo scambiati la maglia, poi il numero di telefono. Lui mi è un tipo di calciatore che mi è sempre piaciuto. Oltretutto siamo di Lanus…»
Un’Italia-Argentina nel futuro cosa le suggerisce?
«Ci spero: vorrà dire che sono rimasto in questa Nazionale. Ma c’è tempo».
Nel 2006 il Mondiale di Germania come l’ha vissuto?
«Tifavo Italia e quando giocava l’Argentina tifavo Argentina. Ero proprio a Lanus, a Buenos Aires, dalla mia famiglia di origine».
Italiano, nato in Argentina e maturato in Spagna.
«Vero, quella nell’Espanyol per me è stata un’esperienza bellissima, nella prima squadra che mi ha dato fiducia. Prima non avevo dimostrato tantissimo in Italia. Loro invece hanno creduto in me».
Quella fiorentina invece che storia è stata? Un paio di gol importanti, una prodezza vincente con la Juve non le bastarono a convincere Prandelli che ora l’ha chiamata in Nazionale. Una bella rivincita.
«La verità è che il mister mi ha dato fiducia anche allora. Solo che avevo davanti Pazzini, Mutu, ero giovane e non mi rendevo conto. Se ci ripenso adesso trovo che è normale sia andata così. A quel tempo magari no. Però i fatti dicono che entravonel finale, che qualche partita da titolare l’ho fatta. Insomma la sua fiducia ce l’avevo, solo che non capivo la situazione data, le gerarchie naturali di una squadra».
Osvaldo è più cambiato come giocatore o come uomo?
«Ero poco più che ragazzo: giocando poco, quando toccava a me volevo far tutto e invece non combinavo nulla. Avevo 10′ e peccavo di egoismo. Sono cambiato come personalità, prima, come ho detto, non avevo pazienza, non mi rendevo conto di chi avevo davanti. Sono cresciuto, capisco le situazioni. Nel gioco sono cambiato meno, sono più tranquillo, ogni partita cresco un po’».
Prandelli l’ha definita un attaccante moderno.
«Spero davvero di avere qualcosa in più. Ancora però qui devo dimostrare tutto, è tutto nuovo per me , non ho giocato un minuto. Lavorerò duro per dare continuità».
Osvaldo come definirebbe Osvaldo?
«Non mi piace parlare di me, certo i complimenti di Prandelli mi fanno piacere. Diciamo che nell’Espanyol ricoprivo un altro ruolo, da punta centrale. Lì è andata bene. Nella Roma mi sto adattando, sono partito largo, ora mi accentro di più, come mi chiede il mister, e credo che le cose inizino a funzionare. Del resto anche questa Nazionale gioca con due puntecentrali non troppo distanti. Lo stesso accade, ripeto, anche nella Roma, adesso davanti non siamo più tanto larghi».
In un paio di settimane la sua vita è cambiata, dai dubbi e le critiche all’azzurro. In entrambi i casi lei sembra sempre sereno.
«Forse riesco a nasconderle ma dentro di me di emozioni ne ho tante. Dico che certi discorsi iniziali erano fatti a caso. Conta il campo, parla quello, io ero tranquillo per questo motivo. Più avevo la fiducia della società, del mister, dei compagni. E grazie a Dio è andata bene».
Non fosse stato per gli infortuni di Balotelli e Pazzini peròsarebbe ancora fuori da questa Nazionale. C’è il rischio che lei sia una meteora?
«Spero proprio di no: se il ct mi ha chiamato non credo sia stato per una scelta casuale. Ci sono tanti altri attaccanti bravi in giro. E’ vero, questa è un’emergenza, data dagli infortuni. Ma è un buon segnale essere qui».
Questa bella Italia di Prandelli per altro è alla ricerca di migliori equilibri offensivi. Insomma gioca tanto ma tira e segna poco.
«Ma a Belgrado per esempio mancavano proprio Giampaolo e Mario, che sono fortissimi e possono dare il loro contributo. Personalmente spero di fare altrettanto. Nonso se finalizziamo troppo poco però contro la Serbia per esempio siamo arrivati almeno altre due volte davanti al loro portiere».
A proposito di Europa e di parco attaccanti, è iniziata così anche la sua corsa al torneo continentale.
«Guardi, io sono felice, ancora mi guardo intorno e non credo a quello che mi è successo. E’ la mia prima volta, vediamo più avanti quello che sarà».
Ci racconti come è stata fin qui questa prima volta azzurra.
«Una cosa incredibile. Avevo finito l’allenamento a Roma, e me lo hanno detto. Davvero non credevo a quelloche mi stava dicendo per telefono il nostro team manager. Naturalmente ho subito gridato sì».
E i suoi compagni, Totti, Perrotta, Campioni del Mondo…
«In realtà ero già in auto. Con me c’era Heinze. Mi ha fatto grandi complimenti: “Vai, vai, è una grande occasione”. Poi mi ha telefonato Luis Enrique».
Che ambiente ha trovato a Coverciano?
«Bellissimo! I ragazzi sono tutti simpatici, ho ritrovato ex viola, ex under 21, tanti compagni che conoscevo già. E i ‘grandi’ mi hanno accolto benissimo, così è stato ancorapiùbello».
In caso di gol azzurro come esulterà?
«Come faceva il mio idolo di sempre, Batistuta. Col gesto della raffica…».
In Spagna la chiamavano ‘killer’, le piaceva?
«Sì,midiverte».
E questo calcio italiano la diverte?
«Il campionato italiano sta migliorando tantissimo, le squadre hanno più rispetto per il gioco, vogliono giocare un buon calcio. E’ stata una sorpresa. Prima si diceva che il calcio in Italia non era ‘aperto’ come in Spagna, era più chiuso. Ora ti diverti in campo».
Quali sono le squadre più belle?
«La Roma! Ma non solo: c’è il Milan, la Juve, il Napoli. Anche la Lazio, sì la Lazio gioca bene. E anche la Fiorentina ».
Parlando di allenatori, lei a chi deve la sua crescita?
«Il primo è stato Zeman, a Lecce. Mi ha dato tantissimo, ero giovane, mi ha fatto lavorare, capire i movimenti dell’attaccante».
Zdenek verrà a vederla a Pescara?
«Credo proprio di sì. Poi, dopo Zeman, dico Prandelli, anche se i compagni mi piglieranno in giro. Nonostante tutto, come ho già spiegato, per me è stato un allenatore importantissimo».
Ora Osvaldo a quale attaccantesi ispira?
«Studio Higuain. Mi piace, lo trovo forte. Ogni volta che tira fa gol. Così lo seguo con attenzione».
Studia già anche la Lazio in vista del derby?
«Guardate, per scaramanzia preferisco non parlare di questa partita, lo farò dopo averla giocata»
Si può dire di sicuro che arriva nel momento migliore per lei. L’azzurro, tre gol già segnati…
«Dopo il gol al Siena tutto si è messo a correre nel verso giusto. Il primo gol per un attaccante è quello più atteso, il più difficile, anche se lo segni a porta vuota. E’ lì che ti sblocchi, poi sei più tranquillo. Per me è stato importante, per me e per l’ambiente».
Curioso che a fornirle l’assist sia stato Borriello, al quale poi lei ha tolto il posto nella Roma e in Nazionale.
«Io non ho tolto il posto a nessuno. Marco resta un attaccante fortissimo e sono contento che giochi con me. Lo abbiamo fatto anche insieme e potrà anche ricapitare. Il suo passaggio non era facile, è stato bravissimo».
In quel caso lei non esultò alla Batistuta ma tese l’orecchio.
«Sì, è vero. Prima nei miei confronti c’erano state un po’ di cattiverie da parte di alcuni giornalisti. Ma è il campo che dà i giudizi veri».