Ci sono volute quasi 48 ore per smaltire la rabbia per la sconfitta contro il peggior Milan degli ultimi 30 anni e ritrovare l’adeguata lucidità per analizzare la partita. La Roma è uscita da San Siro umiliata da sé stessa. Anzi, i tifosi della Roma hanno subito l’ennesima umiliazione stagionale dai propri giocatori. Incapaci, inermi, senza una briciola di carattere e amor proprio nella gran parte. Il 2-1 per i rossoneri di Inzaghi è un regalo di addio a Silvio Berlusconi e ad una squadra che in casa nel girone di ritorno ha battuto solo Cagliari, Cesena e Parma, le ultime tre della Serie A. Una partita che dal primo all’ultimo minuto ha racchiuso trasversalmente tutti gli aspetti negativi, gli errori e le mancanze del gruppo giallorosso e del suo allenatore Rudi Garcia.
Confermando per la terza volta consecutiva la stessa formazione, il francese ha provato a risolvere la confusione mentale che lo attanaglia (a tenersi stretti) dal derby di andata, datato 11 gennaio 2015. Ibarbo è stato eclissato da Antonelli (!!!), Gervinho si è chiamato fuori nel primo tempo subendo l’infortunio muscolare n°31 della stagione. Doumbia (idolatrato da molti dopo i due gol a Sassuolo e Genoa) si è confermato un elefantiaco soprammobile, controllato con disinvoltura da Alex e Paletta, due centrali che sui 10 metri sarebbero in grado di perderne 3 contro ogni avversario. Superando i giudizi individuali, proviamo a individuare le cause della fallimentare stagione della Roma che, va detto con onestà, non merita di arrivare seconda in classifica per la seconda parte di stagione disputata.
– Totale assenza di un’idea di gioco: assoluta mancanza di movimenti offensivi, il giocatore giallorosso in possesso di palla è costretto a partire sempre palla al piede nella metà campo avversaria, in solitaria o con l’appoggio di uno-massimo due compagni. Nel primo tempo due pericoli: l’azione personale di Gervinho e lo stacco di Manolas fermato dal palo. Il resto nella ripresa quando i passaggi di Totti troveranno gli scatti di Iturbe e Florenzi.
– Incapacità di cambiare: questa è la colpa maggiore esclusiva del tecnico. La Roma della scorsa stagione aveva tre fonti di gioco: 1) le discese di Maicon che si appoggiavano agli scambi stretti tra Pjanic e Totti, capaci di trovare il varco per il brasiliano; 2) il caos portato da Gervinho (sconosciuto ai difensori della Serie A) con la sua velocità e la capacità di saltare l’uomo; 3) l’arroganza e la forza a centrocampo di Strootman capace di recuperare palla o di farla giocar sporca agli avversari. A queste tre caratteristiche si aggiungevano Benatia e Castan che con la loro aggressività consentivano il recupero del pallone già alla linea di metà campo. Persi Maicon, Castan, Benatia e Strootman e capito Gervinho dagli avversari, Garcia ha voluto riproporre lo stesso stile di gioco. Cosa impossibile da fare con giocatori dalle caratteristiche diverse.
– Ritmo e intensità, parole sconosciute: Radja Nainggolan ha perso Van Ginkel in occasione del primo gol, ultimo errore di una serie infinita a tutto campo. Se la Roma in mezzo al campo va a 10 km/h, la colpa sicuramente non è del Ninja, unico a rimanere su standard elevati per tutta la partita. E quando, come col Milan, non riesce ad essere nella tipica serata in cui corre per tre, il centrocampo giallorosso viene messo sotto anche da fabbri prestati al mondo del pallone come Van Ginkel, De Jong e Poli. De Rossi prosegue le sue lunghe passeggiata per i campi di tutta Italia, a Pjanic manca solo lo specchio da tirar fuori quando più gli aggrada per specchiarsi nella sua inutilità tattica pari solo alla sua discontinuità tecnica. E “giustamente” Garcia ben si guarda da utilizzare Paredes o Ucan, quasi avesse paura che possano dare un briciolo di vitalità. “Keita è recuperato al 99%” ha detto Garcia in conferenza stampa. Zero minuti per il maliano. La Roma non ha mai corso quest’anno, tranne quando ha voluto correre. L’alibi della preparazione atletica (comunque pessima) è stato lungo e magnifico per tutti i giocatori, centrocampisti in primis (a parte Nainggolan).
– Avversari sempre sottovalutati: il “Sono sicuro, vinceremo lo Scudetto” proclamato da Garcia all’indomani di Juve-Roma ha fatto sentire i giocatori della Roma superiori a chiunque, capaci di vincere le partite in ogni momento. Via l’umiltà, dentro prosopopea, vanità e narcisismo. Mai cattivi, mai col sangue negli occhi. Partita dopo partita, esclusi Florenzi, Nainggolan e alcuni sporadici episodi, nessun giocatore ha mai dato un apporto individuale superiore alla causa.
– Gestione del gruppo: l’errore totale di Garcia a braccetto con la società. Sempre fiducia ai giocatori, mai un provvedimento punitivo a fronte di prestazioni pietose. Per dirla in parole semplice, l’assenza del gatto (Pallotta e dirigenti) consente ai topi di ballare (i calciatori). Sempre alibi ai giocatori, sempre una promessa e un proclama. Senza umiltà non si va da nessuna parte.
– Gestione dei cambi: a Milano si è constatata la totale mancanza di lucidità di Garcia in questa stagione. Lo scorso anno chi entrava faceva la differenza. A Milano Ljajic è stato un uomo in più per Inzaghi. Iturbe ha dato il furore agonistico accompagnato da un minimo di accuratezza tecnica in più rispetto al solito. Ovviamente questo punto si ricollega all’incapacità di cambiare, problema che si è presentato in corsa in tante partite.
A cura di Daniele Luciani