(T. Carmellini) – La Roma ride, la Lazio piange. È il calcio, uno sport micidiale del quale i derby sono massima espressione. Può succede che fai la partita per oltre un’ora, ci provi, spingi, eppoi in cinque minuti entra l’uomo giusto che ribalta tutto e consegna la gara in mano agli avversari. È la sintesi della stracittadina giocata ieri all’Olimpico tra Lazio e Roma che escono dal match con risultati e orizzonti diversi. La squadra di Garcia pigliatutto: vince il derby, manda in delirio i suoi tifosi riscattando (seppur in parte) quello che i romanisti non faticano a chiamare il derby maledetto, ma soprattutto si assicura quel secondo posto che vale l’ingresso in Champions dalla porta principale, spazzando via lo spettro del preliminare a metà agosto. Quella di Pioli esce dal confronto con i «cugini» con le ossa rotte: perde male e si ritrova alle prese con un ultimo turno da incubo. Già, perché lo stop rilancia le ambizioni del Napoli che insegue a tre punti ma ha a suo favore gli scontri diretti: quindi in caso di arrivo a pari punti avrebbe la meglio sui biancocelesti. Non sarà una passeggiata, ma la Lazio va comunque al San Paolo con due risultati utili su tre. Si può fare.
AVVIO TUTTO BIANCOCELESTE Non c’è voluto molto per capire che partita sarebbe stata. Pioli ha caricato a pallettoni la sua Lazio aggressiva come mai e tutta proiettata in avanti. C’è Biglia ancora convalescente, la squadra kamikaze con i due terzini altissimi per asfissiare la difesa romanista. Dall’altra parte Garcia, al quale andava benissimo anche un pareggio, s’è messo sulla difensiva: Holebas e Torosidis bloccati dietro con Keita in mezzo al posto di Pjanic e Florenzi nei tre davanti. Obiettivo addormentare la gara. Pronti via è subito Lazio che prova a sfondare a destra con Torosidis più volte imbucato e sempre in affanno. Cinque minuti per la prima occasione vera che poteva cambiare la partita sul tuffo di Klose finito fuori a portiere battuto. La Roma? Non pervenuta, resta lì dietro, chiusa e non prova nemmeno a ripartire in contropiede tutta presa a non prenderle piuttosto che a darle. Il primo tempo si conclude così senza un tiro in porta dei giallorossi che soffrono anche nei primi venti della ripresa: fino alla svolta.
I CAMBI DECISIVI DI GARCIA Minuto 23, entra Pjanic (scelta forzata per l’infortunio di Keita: un segnale anche questo) e la partita cambia. Sull’asse Pjanic-Iturbe la palla decisiva arriva sui piedi di Ibarbo (appena entrato per un Totti spento) che sbaglia da due metri. È il preludio del vantaggio romanista che arriva da un’altra intuizione di Pjanic: tacco a smarcare Nainggolan, palla a Ibarbo che va sul fondo e tocco delizioso di Iturbe che sblocca la gara. Qui la Roma avrebbe, un minuto dopo, l’occasione per chiuderla: ma il contropiede di Nainggolan va a vuoto. Così la Lazio torna in partita, riparte, spinge e dieci minuti dopo raggiunge il meritato pareggio: gran palla dalla trequarti di Anderson, Klose fa sponda di testa e Djordjevic (forse messo dentro un po’ tardi da Pioli) riporta la Lazio sull’1-1 grazie alla dormita collettiva di Holebas e Yanga-Mbiwa.
L’UOMO CHE NON T’ASPETTI A meno di dieci minuti dalla fine un pareggio potrebbe andar bene a tutti, ma la Lazio non ci sta, continua a spingere e costringe la Roma a fare altrettanto. Così, su un rovesciamento di fronte Cavanda commette un fallo ingenuo su Ibarbo: Rizzoli non ha dubbi, è punizione. Sulla palla va Pjanic che la scodella in mezzo dove ci sono ben tre romanisti in fuorigioco, ma ne spunta un quarto, Yanga-Mbiwa, in posizione regolarissima. L’inzuccata piega la Lazio e la condanna a un ultima giornata infernale. Primo gol in giallorosso del difensore africano: incredibile ma vero. Dopo i tre fischi laziali in lacrime in mezzo al campo (mai come questa volta partivano con i favori del pronostico), mentre scatta la festa giallorossa tra selfie, magliette ironiche sullo spostamento della gara «richiesto» da Lotito e vendette consumate più o meno a freddo. Insomma normali scene da derby.