(N. Piovani) Da un paio di mesi alla Stazione Termini, all’inizio dei binari, ci sono i varchi d’ingresso: possono avvicinarsi ai treni in partenza solo i passeggeri che hanno il biglietto. È una banale misura di sicurezza, già applicata in tante altre stazioni italiani e straniere, e che peraltro a Roma era stata in vigore fino a qualche decennio fa. Ma viviamo nell’era in cui ogni cambiamento diventa l’occasione buona per lamentarsi e per dividersi, perciò sui social network molti hanno accolto la notizia definendola «una cretinata», «stupidaggine colossale», «perdita di tempo e di risorse», subito c’è stato chi l’ha buttata in politica («Una pagliacciata stile Pdioti»), e via con l’immancabile dibattito, i favorevoli e i contrari, quello che scrive «è pieno lo stesso di zingari comprano un biglietto e fanno quello che gli pare», l’altro che giustamente gli risponde «Allora perché i ladri forzano le porte le lasciamo aperte?». C’è chi nel protestare fa ricorso alle citazioni letterarie, evocando Anna Karenina o gli scherzi di “Amici miei”, come se ci dovessimo preoccupare perché non potremo più gettarci sotto un treno o tirare schiaffoni ai passeggeri.
Ormai siamo capaci di accapigliarci su tutto, anche su quale dovrebbe essere la giusta sfumatura di giallo e di rosso nelle nuove maglie della Roma, argomento che da due giorni sta infiammando le discussioni su Facebook e dilaniando i gruppi su WhatsApp. Brontolare è sempre stata attività prediletta in città, tanto è vero che la maschera tradizionale capitolina si chiama Rugantino, dal verbo “rugare”, cioè borbottare. Ma forse mai come in questa nostra epoca litigiosa torna utile l’espressione romana: «Nun ve sta mai bene gnente».