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LA STAMPA Non solo Roma. L’assist per gli stadi arriva dagli USA

Stadio della Roma (foto asroma.it)
Stadio della Roma (foto asroma.it)

(G.Paolucci) – C’è un uomo che ha in mano la ricetta per cambiare il calcio italiano. Si chiama Greg Carey, è un americano di 54 anni e di mestiere fa il banchiere. Negli ambienti dello sport professionistico Usa è ritenuto un vero e proprio guru. Nato a Long Island, laurea ad Harvard, Carey lavora per Goldman Sachs e da qualche tempo ha mandato i suoi uomini in giro per l’Italia con un progetto ben chiaro: fornire un pacchetto completo di idee, esperienza e soprattutto soldi per far costruire stadi di proprietà alle squadre di calcio italiane. Con la conseguenza, non ovvia ma probabile, che quando le squadre di prima fa-scia della Serie A avranno il proprio stadio con i servizi annessi (spazi commerciali, ristoranti, cittadella dello sport, magari un albergo) il calcio italia-no cambierà faccia, aumenterà i propri incassi e diventerà più competitivo.

Magari avvicinandosi, tra qualche tempo, ai livelli della Premier League inglese. Carey e Goldman Sachs stanno già lavorando con la Roma di Pallotta, che ha presentato lunedì scorso il suo progetto per lo stadio e con l’Inter di Thohir, con il quale ha rinegoziato il debito della società per circa 230 milioni di euro proprio nell’ottica di partecipare all’affare-stadio. Ma tra le trattative in corso c’è anche quella con la Fiorentina dei Della Valle, che da tempo stanno cercando di sbloccare il proprio progetto per un maxi polo viola. E a breve Carey incontrerà i vertici del Milan per valutare la possibilità di intervenire nell’ambito dell’accordo Berlusconi-Mr Bee.

Considerato che la Juventus ha già il suo impianto, l’Udinese ci sta lavorando, le due genovesi stanno cercando una soluzione che «decongestioni» Marassi e che i tifosi del Torino sognano da anni un proprio impianto, ecco che il quadro di una Serie A più vicina ai modello inglese diventa una possibilità concreta. Lo schema logico è il seguente: con lo stadio si stabilizzano i ricavi, le società sono più sane, meglio patrimonializzate e auspicabilmente meglio gestite, quindi in grado di competere meglio per comprare (o tenere) i calciatori migliori. E in prospettiva si potrà avere un incremento dei diritti televisivi, vera ricchezza del calcio globale, che adesso valgono circa 1,2 miliardi di euro contro i 2,4 miliardi della Premier. «Non vedo una correlazione diretta tra stadi di proprietà e diritti tv – dice Alberto Dell’Acqua, direttore del master in corporate finance dell’Università Bocconi ed esperto di finanza del pallone -. I diritti tv dipendono essenzialmente dal numero dei tifosi e dai risultati dei club». Di certo, prosegue, «attraverso una gestione attenta lo stadio può portare a un incremento dei ricavi e una migliore patrimonializzazione, che già di per sé renderebbe le società di calcio più stabili».

Che Carey e i suoi ci sappiano fare lo dimostra il curriculum del banchiere. Il suo primo lavoro è stato per i New England Patriots, all’inizio del decennio scorso. Quando il suo attuale proprietario li comprò, negli anni 90, valevano 172 milioni di dollari. Adesso i Patriots valgono 2,6 miliardi e da quando hanno la loro arena hanno partecipato sei volte al Superbowl. Poi, nel 2004, Carey è passato da Citigroup a Goldman Sachs e da allora ha realizzato 28 impianti, per le principali squadre americane di baseball, football e basket. Dai New York Mets agli Yankees, dai San Francisco 49ers agli Orlando Magic. Non senza qualche polemica. La costruzione dell’arena dei Sacramento Kings, ad esempio, è stata finanziata in parte con denaro pubblico grazie ad un aumento delle tasse locali e non tutti hanno gradito. A New York ha utilizzato una falla nelle norme fiscali che ha fatto risparmiare il proprietario degli Yankees ma ha creato qualche problema alla città. Lui, in un’intervista a Bloomberg, ha sostenuto che grazie al suo lavoro anche i tifosi ne guadagnano perché possono godersi il loro spettacolo preferito in luoghi migliori. Lo schema che Carey intende replicare anche in Italia prevede l’assistenza di Goldman per trovare i finanziamenti necessari, la consulenza tecnico-finanziaria e l’emissione di titoli di debito i cui interessi saranno pagati grazie ai maggiori ricavi generati. Certo, l’Italia non è l’America e Pallotta, nel suo negoziato con il comune di Roma per lo stadio, ne sa già qualcosa. Per scoprire se sarà davvero un americano a salvare il pallone italiano servirà qualche tempo.

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