(D. Stoppini) – S’è rifatto con gli interessi. Magari finiranno pure sul conto corrente della Roma, che aspetta un Daniele De Rossi fresco e riposato dopo Vietnam, Cambogia e Thailandia. Mica normale: né il tipo di vacanza, ma verrebbe da dire pure il fatto stesso che sia andato in vacanza. Perché l’abitudine è vederlo in campo, Daniele. È vederlo nel cuore del gioco, della Roma e dell’Italia. Vacanze ora, finalmente un’estate con la spina staccata. Non gli accadeva dal 2011: nel mezzo un Europeo, una Confederations Cup, un Mondiale. Tanti tackle, tanto sudore, tanto di tutto. E un filo di fiato in meno da spendere per la Roma. Il 2015, adesso, fa rima con riposo: la prima estate da quattro anni a questa parte senza una competizione da giocare.
UN PO’ DI RIPOSO – L’ultima volta coincise con una delle migliori stagioni di De Rossi con la maglia della Roma. Il legame con Luis Enrique, nell’estate 2011, e un campionato eccezionale per rendimento. Proprio mentre il contratto con la Roma andava in scadenza e mezza Europa prendeva informazioni. Poi la storia ha detto rinnovo fino al 2017 e un altro mondo giallorosso pronto ad aprirsi. Principio di una seconda parte di matrimonio sereno, almeno a prima vista. E invece no. E invece apriti cielo. Mai più un’estate senza pensare al calcio. Mai più un’estate senza il pensiero dell’addio alla Roma, divenuto fortissimo — quasi una certezza — nel 2013, dopo il derby perso in finale di Coppa Italia, prima di una Confederations che lo stesso De Rossi avrebbe poi definito rigenerante. E idem nel 2014, quando cominciarono a rincorrersi le voci di un De Rossi pronto a sbarcare negli Stati Uniti. De Rossi è ancora qui. La voglia di provare un’esperienza all’estero c’è sempre. C’è quella vocina che lo spinge nella Mls — che, tanto per chiarire, un sondaggio l’avrebbe fatto anche di recente —, quell’altra che lo vorrebbe tra un paio d’anni al Boca Juniors. Ecco, tra un paio d’anni. De Rossi ora serve a Rudi Garcia.
AL RISCATTO – Serve perché a centrocampo sono solo in quattro, aspettando e sperando in Strootman. E perché Keita avrà pure rinnovato, ma con la carta d’identità e il ginocchio del maliano sarà bene procedere con cautela. Un centrocampista arriverà, sicuro. Ma la Roma che si mette in moto in queste ore, intanto, lo fa sotto la stella di De Rossi. Stella in qualche modo attesa al riscatto. Perché dietro le spalle il centrocampista si è lasciato un anno pieno di dolori muscolari, di delusioni azzurre — per la prima volta un c.t. l’ha lasciato fuori dalle convocazioni per scelta tecnica — e pure di amarezze giallorosse. Perché c’è stato un momento della stagione, lo scorso autunno, in cui De Rossi aveva scalato le marce, finendo indietro nelle gerarchie di Rudi Garcia, pure in panchina in qualche big match. Quello stipendio da 6 milioni all’improvviso è tornato a pesare. Quella faccia malinconica è tornata forse a pensare troppo. Ma è durato poco. Resta la forza e la serenità del rapporto con Sarah Felberbaum. Resta l’orgoglio di giocare per una maglia che pesa. Pesa tanto, pesa troppo. E sotto la curva, al richiamo di qualche pseudo-tifoso, magari ti fa dire e fare cose poco politically correct . È la Roma dei «maiali col microfono» denunciati dallo stesso De Rossi in passato. È una Roma che a volte gli sembra un po’ il Vietnam in cui è andato in vacanza. Chissà, forse il viaggio sarà servito per apprezzare pure le differenze.