(E. Sisti) – C’era bisogno di uno spiraglio, l’aria era viziata. Grazie a un Palermo senz’anima né voglia per più di un’ora, la Roma torna dalla Sicilia con i polmoni ripuliti e con la prospettiva di una sosta benedetta che pare fatta apposta per recuperare i malati e capirsi meglio.
Risolve la pratica in mezz’ora, va sullo 0-3 senza essere mai disturbata, nemmeno per sbaglio, da un tentativo di pressing, da una qualche forma, anche primitiva, d’opposizione. Rischia nel pittoresco finale, regala il 2-3 a Gonzalez (il peggiore) e poi blinda i tre punti con Gervinho. Finisce 2-4: «Non avevo dubbi, bella reazione, la squadra c’è sempre», ammette Garcia uscendo dalla graticola. Nel primo tempo il divario era stato imbarazzante. Le motivazioni erano così mal distribuite (tante da una parte, zero dall’altra) che sembrava di essere a fine maggio e che il Palermo fosse sceso in campo già retocesso. Da una parte c’era una squadra risistemata tatticamente col 4-2-3-1, finalmente equilibrata, più sensata, svincolata dal dogma del 4-3-3. Dall’altra undici pantere rosa dalle cadenze equatoriali.
E una più accurata disposizione tattica non costringe né Salah né Gervinho a mascherarsi inutilmente da facitori di gioco. Gilardino appena entrato, a inizio ripresa, attenua la malinconia facendo l’unica cosa di calcio fra i suoi: mette De Rossi a sedere per l’1-3 (13’ st). Con Gilardino ( cui Szczesny nega la doppietta) il Palermo trova tardiva energia. Un po’ stanca, la Roma (in cui debuttano Emerson Palmieri e Gyömber, che con Uçan compongono un centrocampo mai visto e che forse mai rivederemo) si protegge col 4-4-2 e poi col 4-4-1-1. Ma ormai è tardi per tutto, persino per autolesionarsi. L’arrembaggio del Palermo è un boomerang: va sul 2-3 ma si scopre per il 2-4. La giusta distanza.