(G. Dotto) – Fenomenologia di un fuoriclasse incomprensibile e mai visto prima al mondo. Alessandro Florenzi da Vitinia, collezionista di bombe funebri, imprese da youtube, scampato a una vita da barista nell’azienda di famiglia. Ha un muso incomprensibile da cartoon, tra la nutria e gianburrasca. Gioca il calcio dei santi e vola come i santi.
Dice tutto, soprattutto quello che non pensa. Combinazione unica di follia e umiltà. L’abbiamo visto da giallorosso: rovesciare acrobatico in area come il miglior Rooney (all’Olimpico con il Genoa, nel mucchio selvaggio riconoscibili Strootman e Benatia), materializzarsi dal nulla come Paolo Rossi, fare gol, indi precipitarsi in tribuna a sbaciucchiare la nonna a pois (all’Olimpico con il Cagliari), scaricare un destro da sniper, improvviso come la morte, mirino elettronico incorporato, da quasi trenta metri alla Snejider che fa rima con sniper (all’Olimpico con il Verona), infilarsi come un cobra dall’out destro e sganciare la folgore velenosa alla Messi, là dove i ragni si credono al sicuro (a Modena con il Sassuolo), farsi tutto il campo selvaggio e mollare la pezza nel sette come il più invasato Christian Bale (sempre all’Olimpico con il Genoa), scappargli dal piede una delirante palombella da cinquanta metri come Maradona o Recoba, fate voi, spaventando il mondo e strozzando in gola l’”incredibile” da canone picciniano (all’Olimpico con il Barcellona).
L’abbiamo visto imperversare sulla fascia come Francesco Rocca e crossare di velluto come David Beckham. Mai possibile che uno stesso calciatore, dal torace nemmeno largo e le gambette da misirizzi, racchiuda tanti calciatori? L’impressionante sabato azzurro di Ale Florenzi ha mostrato tutto il suo calcio enciclopedico in una sintesi perfetta che ha costretto persino Lotito in tribuna a sbellicarsi di mano.
Tecnica, corsa, resistenza, tiro, personalità, la follia che lo benedice e lo rende unico. Bisogna difendere il fenomeno dalla sua difficoltà a percepirsi come tale. Il suo genio lo eccede. Capita ai sublimi, quando l’atto li precede. Fin troppo disponibile a giocare anche terzino per amor di maglia. Uno spreco, ora che, da sabato sera, è definitivamente chiaro che lui diventa letale dalla metà campo in su, quando sente l’odore del sangue. Troppo a lungo incastrato nell’equivoco dell’eclettismo, il giovane Flore ha mostrato che il suo unico handicap è il saper giocare troppo bene ovunque. Resti se stesso, ma sappia d’essere quello che è, e si fidi solo del suo furore. Roma e Garcia lo amano perdutamente. Antonio Conte ha imparato ad amarlo.
Fonte: Dagospia.com