(M. Ferretti) Quanto è lontano quel 22 agosto? Tanto. Poco. Una vita. Un attimo. Dipende, come sempre. Dipende da quello che è accaduto quel giorno e da ciò che è successo fino al pomeriggio di ieri. Non è pronto, venne detto dopo la prima di campionato quando il sole era ancora caldissimo e l’estate una realtà. Oggi che quel sole è soltanto un ricordo, e l’estate il sogno che verrà, restano le cose da raccontare. E Leo Castan, se solo lo volesse, ne avrebbe a centinaia da snocciolare. Non è pronto, la sentenza post Verona di Rudi Garcia; non è ancora al cento per cento, ha ribadito il tecnico alla vigilia della partita contro l’Empoli. Poi, seguendo il filo del consueto bluff, il francese l’ha (ri)mandato in campo. Una sorpresa. Una bella sorpresa, vederlo sbucare dal sottopassaggio con gli altri titolari. All’Olimpico, gara di campionato, non accadeva dall’11 maggio del 2014, Roma-Juventus 0-1, ed è singolare che il brasiliano sia tornato al suo posto in una partita casalinga contro l’ultimo avversario affrontato prima di finire sotto i ferri del professor Maira (Empoli-Roma, 13 settembre 2014).
E ADESSO? Tanta curiosità. Per valutare, per capire. Leo ha cominciato al piccolissimo passo e via via ha preso un po’ di coraggio, senza mai strafare. Verso la fine della prima frazione, si è guadagnato il sorriso dello stadio per un anticipo, palla a terra, su Pucciarelli: un’entrata da dietro – a metà campo – pulita, con i tempi giusti. Perfetta. In quella circostanza s’è rivisto il vecchio guerriero, il muro di un paio di anni fa quando, in coppia con Benatia, faceva trascorrere pomeriggi di assoluto relax a De Sanctis. Primo tempo senza reti, però, che per la Roma non è stata una bella notizia. Non brutta, invece, per la difesa di Garcia, quindi (anche) per Castan. L’arcobaleno magico di Pjanic e la capocciata in formula 500 di De Rossi hanno aggiustato la serata della Roma, ben prima della terza zampata di Salah. E così Castan ha potuto festeggiare alla grandissima il suo rientro. È definitivamente pronto, adesso? Per uno che ha rischiato di non giocare più a pallone, se non altro un ulteriore passo avanti verso la vita. Mica poco.