(F. Balzani) – Quando nell’estate del 1990 sbarcò a Fiumicino con quel casco di capelli neri e lo sguardo un po’ perso nel vuoto, sembrava uno di passaggio, un errore di mercato pagato caro (6 miliardi di vecchie lire). Che senso aveva acquistare uno stopper brasiliano, panchinaro fisso a Italia ’90 in uno dei Brasile più anonimi di sempre e “colpevole” del gol del milanista Rijkaard che costò al Benfica la Coppa dei Campioni? E poi all’epoca gli stranieri non arrivavano all’ingrosso come accade oggi, se ne potevano tesserare solo tre e di difensori a Trigoria c’era già il tedesco Berthold, fresco campione del mondo assieme all’altro giallorosso Voeller. Ma Aldair Nascimento do Santos sarebbe diventato un patrimonio della Roma, lasciato in eredità da Dino Viola. Il presidente del secondo scudetto morì di lì a sei mesi, ma dopo Falcao e Cerezo aveva fatto in tempo a regalare alla Roma un altro straordinario fuoriclasse brasiliano.
Aldair ieri ha compiuto 50 anni, tredici dei quali (dal ’90 al 2003) trascorsi con la maglia giallorossa sulla pelle: 436 battaglie (e 20 gol), impreziosite da scudetto e supercoppa 2001 e dalla coppa Italia ’90. Quello sguardo un po’ così e quel passo felpato decisamente non da difensore (come del resto la tecnica cristallina), gli fecero meritare il soprannome di “Pluto”. Timidissimo fuori dal campo, i giornalisti sudavano (e sudano) le proverbiali sette camice per strappargli più di qualche monosillabo. Campione del mondo a Usa ’94 a spese dell’Italia sacchiana, Aldair non ha avuto bisogno di parole per conquistare i tifosi, rapiti ben presto dai suoi anticipi eleganti, dai suoi tackle scivolati implacabili, dai suoi colpi di testa perentori, dalla sua umiltà esemplare. Qualità che l’hanno spedito di diritto nella Hall of Fame giallorossa.