(M. Pinci- E. Sisti) – I prossimi cinque giorni valgono una stagione. Non bisognava arrivarci. Le premesse e i sogni erano altri. Ma ormai la Roma è questa, questa è la realtà dei fatti e del campo. La Roma ha a disposizione pochi minuti per rilanciare, o deformare per sempre, la sua compulsiva annata (Roma da considerare per intero, squadra, panchina, società, tifosi). Bate mercoledì,Napoli domenica: la tinta dei mesi che seguiranno dipenderà della prossime due partite. Giunto al suo Ok Corral, il sergenteGarcia non ha scelta, o centra il bersaglio o ci lascia le penne e il film finisce (male). Il passaggio del turno in Champions non è mai stato così vicino: potrebbe bastare pure un punto se il Leverkusen non batte il Barcellona. Eppure c’è una trappola. Quest’essere a portata di mano lo rende più che mai insidioso, giocare per il pari non si può, e il Bate vincendo si qualificherebbe. Non passare agli ottavi provocherebbe una delusione sportiva di cui la Roma, che ha una storia piena di macchie analoghe, farebbe volentieri a meno. Più concreto il colpo che un’uscita dalla Coppa assesterebbe al bilancio: 20 mln di meno.
Quanto al campionato, con 5 punti di distacco dall’Inter capolista, una sconfitta al San Paolo sarebbe letale per le non più granitiche ambizioni di scudetto. Anche per questo, nel suo primo giorno romano, Pallotta (che in settimana, non essendoci più Marino, vedrà Tronca per lo stadio) ha riunito gli stati generali del club. Ha pranzato con l’ad Zanzi e il fedelissimo Zecca, poi ha ricevuto il ds Sabatini e il dg Baldissoni. Confronto programmatico sulla gestione sportiva, in ufficio e poi a cena (senza Sabatini). C’era anche Garcia, perché i problemi toccano anche lui (a parte quelli che lui stesso ha forse creato). Occorre definire gli obiettivi di mercato per gennaio: cercheranno un difensore, un terzino e un attaccante esterno. E bisogna anche tornare a vincere (i tre punti mancano dal derby). Spalletti si auto-candida, Conte è l’idea per giugno, però ufficialmente Garcia rimane confermato. Se poi il terreno franasse prima del previsto sotto i piedi del Napoleone romanista travestito da Pierrot, allora si dovrebbe cominciare a pensare a un traghettatore, uno tosto, con la personalità e magari anche gli occhi di Caronte.
Nel pieno della crisi suonano come una beffa il rendimento e le reti degli sbolognati: Ljajic con l’Inter, Doumbia nel Cska, Destro nel Bologna, Sanabria al Gijon (ieri tripletta), persino il 18enne Pellegrini col Sassuolo. La Roma, al contrario dei suoi ex, entrerà nella sua settimana “paradiso o inferno” fra mille difficoltà. Tattiche perché i giocatori non sanno dove andare a mettersi per infastidire con continuità le difese schierate (e Dzeko non assistito diventa un uomo in meno). Tecniche perché ancora una volta errori individuali hanno generato costi altissimi (a Torino Rüdiger e Dzeko). Emotive perché la squadra è poco intensa e sempre più nervosa (a Torino per litigare con Peres e beccarsi un’ammonizione Florenzi, richiamato dalla società per le sue paturnie, s’è fatto 50 metri di corsa). Statistiche perché a Torino la Roma ha calciato appena 5 volte in porta (3 nello specchio) mentre la sua media è di 12,2 tiri a partita, quindi anche l’attacco è spento. Fisiche perché né la gestione dei sani (stanchi), né quella dei presunti recuperati (Gervinho e adesso Salah) conforta. E infine numeriche: la rosa è sempre meno folta. Si vedono solo le spine. Che non pungono gli avversari…