(S. Carina) Nel 1997, quando il paese di Sovigliana era tappezzato di manifesti azzurri con su scritto in nero “Sacchi più Zeman uguale Spalletti”, il neo tecnico della Roma nelle (poche) interviste che rilasciava già all’epoca, dichiarava di vergognarsi: «Andrei a strapparli di notte ma non posso, li hanno messi i miei compaesani». Manifesti (insieme a migliaia di volantini) che trovò anche la prima volta che arrivò nella capitale, scelto da Bruno Conti con l’ok del presidente Franco Sensi. Quelli però avevano un tenore diverso e lo invitavano, nemmeno arrivato, ad andarsene. E invece Luciano da Certaldo, patria di Boccaccio, vissuto e cresciuto in una frazione di Vinci, il paese di Leonardo, a Roma non solo ha vissuto quattro anni splendidi e intensi ma ha deciso di tornarci. Un po’ perché è testardo di natura e ha intenzione di completare un discorso bruscamente interrotto oltre sei anni fa. Ma poi, oltre al fascino di far rientro da trionfatore, in città ha lasciato un pezzo di cuore.
RIFUGI PUBBLICI – Per un uomo che ama ripetere «come la cosa più bella del mondo è il silenzio delle colline toscane», è singolare essersi innamorato di una metropoli così caotica che a volte, ad esempio nei giorni di pioggia, lo tiene bloccato in auto almeno una mezz’ora per raggiungere Trigoria dalla casa acquistata nel quartiere Eur, vicino al Fungo. Ma Roma è tanto altro. E Spalletti lo sa. Anche la sua famiglia ne è consapevole. Soprattutto il primogenito, Federico, che non ha seguito il papà a San Pietroburgo preferendo rimanere nella capitale. Studia alla Luiss, ha una casa al quartiere Trieste e inevitabilmente è diventato un tifoso della Roma. Prima di comprare la casa all’Eur, dove ora tornerà ad abitare con la moglie Tamara e la figlia Matilde, l’allenatore toscano ha vissuto all’Infernetto, in una villetta messa a disposizione in affitto dall’ex Delvecchio. Appassionato di vini e della buona tavola, quando allenava l’Empoli passava spesso a bere il caffè alla Casa del Popolo di Sovigliana. Il conto lo pagava sempre lui: una generosità che lo ha accompagnato anche nell’avventura romana dove il rifugio pubblico è diventato il ristorante Checco dello Scapicollo in via dei Genieri (zona Laurentina), trasformatosi col tempo in un ritrovo abituale per lui e per i suoi collaboratori, trattati sempre con i guanti bianchi dai fratelli Testa, Francesco, Andrea, Alessio e Tiziano, romanisti per la pelle. Un altro locale a via Giulia, Assunta Madre, era sei anni fa la sua meta preferita quando invece voleva mangiare il pesce e fare un po’ il vip. E Lucio tutte le mattine o quasi ha pagato la colazione, anche ai magazzinieri della Roma suoi amici, al bar Casarola, sulla via di Trigoria a due passi dal Bernardini.
TEMPO LIBERO – Una vita semplice, caratterizzata dal lavoro a Trigoria, dove spesso entrava alle nove di mattina e usciva alle otto di sera. Spalletti è un allenatore che non lascia nulla al caso: cura i dettagli ed è capace di fermarsi le ore finché non vede quanto richiesto. Poco tempo libero a disposizione, utilizzato alcune volte per spostarsi sul litorale romano accompagnato dall’amico Bruno Conti oppure a Santa Severa, per gustare un po’ di pesce all’Isola del Pescatore. Altre – quando la Roma non giocava la domenica, anticipando al sabato – per recarsi al Palalottomatica e assistere alle gare di basket della Virtus Roma. Chissà se ora deciderà di attraversare la città per andare a vedere la squadra di Caja, retrocessa in A2 e traslocata al Pala Tiziano. Amante della musica, difficilmente si è perso un concerto di Antonello Venditti, divenuto col tempo un amico. E con un altro amico, Claudio Amendola, ha fatto anche l’attore ne I Cesaroni. Quando salutò nel 2009, disse di volersi portare «sempre dietro l’inno cantato da tutto lo stadio». Da domenica, contro il Verona, potrà ricominciare a risentirlo nuovamente. Magari con qualche vuoto in più sugli spalti che proprio lui, potrebbe tornare a riempire.