(A. Abbate) Ora la ferita è aperta, sanguina l’Olimpico. Appeso ancora al battito di 25mila tornelli, il derby di Roma è in coma e rischia davvero di morire. Travolto prima da un graduale processo di disamoramento e adesso dalla rottura finale tra Curve e istituzioni. Dimenticatevi scenografie, cori e sfottò, domani pomeriggio resterà solo la memoria. Sei mila biglietti staccati per la Lazio (in casa), altrettanti per la Roma. Aggiungeteci 11mila abbonati biancocelesti e il conto – neanche troppo matematico, senza considerare chi resterà comunque davanti alla tv o ai maxischermi – è fatto. E pensare che una volta c’era la corsa all’ultimo tagliando, oggi c’è l’invito da parte dei tifosi a strapparlo, nel caso qualcuno lo avesse acquistato. Fra contestazioni, proteste o semplice disaffezione, in dodici mesi, polverizzati dalle tribune dello stadio 340mila spettatori. Quasi 200mila a testa in meno per Roma e Lazio rispetto al campionato precedente, visto che altri 25mila spariranno domani: addio ai 50mila che il 25 maggio scorso occuparono l’Olimpico per un Roma-Lazio da Champions, ne torneranno forse la metà. Non conta nemmeno l’ultimo saluto a campioni del calibro di Totti e Klose, i sentimenti ormai sono vintage. Come quei derby che sputavano colori e capolavori, foto di capitani nella Sud o maestose aquile imperiali in Nord. Oggi vola solo la malinconia sulle seggiole vuote e senza coriandoli.
LO SCONTRO Sarà un derby al tramonto, sarà il derby del silenzio e magari del rimpianto. Perché almeno i romanisti avevano qualche motivazione in più per spingersi sino all’Olimpico: un terzo posto riacciuffato con le unghie e con i denti di Spalletti e la possibilità di giocare in casa una partita (in teoria) esterna. Invece l’Olimpico rimane praticamente a porte chiuse, l’autoflagellazione di una capitale dall’antica grande bellezza. Questa è un’enorme tristezza, lo ammette pure il presidente del Coni Malagò: «Non potrà essere una partita allegra per quelli che sono, per motivi più o meno simili o più o meno diversi, i ragionamenti delle tifoserie». Ultras giallorossi e biancocelesti – gli unici in Italia – che si sentono vessati dai nuovi regolamenti della Prefettura. Nessun punto d’incontro sinora, solo qualche timida apertura del prefetto Gabrielli: «Nel momento in cui, chi ha la responsabilità della sicurezza prenderà coscienza che le barriere non servono più, si toglieranno». La Roma ha cercato di ricucire in ogni modo lo strappo, la Lazio ha preso atto delle decisioni delle istituzioni senza intromettersi: il risultato alla fine è stato lo stesso, ovvero popolari vuoti per la sfida delle sfide.
LE CONSEGUENZE Sconforto sugli spalti e nel cuore del tifo di una città. Per trovare un derby con meno gente bisogna risalire a quelli giocati nel ‘90 al Flaminio. A far compagnia ai 14mila abbonati laziali, soltanto i 9.500 tifosi che si erano degnati di acquistare un biglietto: 6mila romanisti e 3.500 laziali. Suppergiù siamo su quei numeri e la Nord ha dato in un comunicato le sue spiegazioni dell’ormai abituale diserzione: «Non solo le barriere, ma anche le difficoltà legate agli orari proibitivi, parcheggi inaccessibili e caro-biglietti». Il vero problema? Gli ultimi numeri incideranno presto pure sui diritti tv, vero motore dei club. E allora Lotito e Pallotta sì che dovranno farsi sentire col prefetto Gabrielli, intervenuto ieri di nuovo a margine di un convegno del Coisp: «Abbiamo sempre detto che viviamo in una condizione di minaccia ma per fortuna non ci sono situazioni specifiche, puntuali, che ci fanno ritenere una situazione più pericolosa dell’altra, ma l’attenzione deve essere massima. Non riceviamo segnali particolari, ma tutto questo non ci consente di abbassare la guardia. C’è gente che ci vorrebbe in qualche modo far male, un’altra cosa è la realizzazione effettiva di questa minaccia e dunque l’attentato». Bonifiche, forze dell’ordine a cavallo e metal detector antiterrorismo. Nella terra ormai di nessuno. Nel deserto.