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CORRIERE DELLO SPORT. La nuova Roma non dovrà fare a meno dei senatori

Totti e De Rossi

(L. Cascioli) – Roma tra Derby et Orbi. Men­tre si profila la stracittadi­na, DiBenedetto ha iniziato a Londra le grandi manovre per collocare la società e la squa­dra nell’ombelico calcistico del mondo.

In quanto al Derby del­le lunghe attese, un aspetto as­solutamente teatrale è riserva­to stavolta a questo confronto, che partita di calcio non è: è piuttosto sfida, è duello, è sa­gra di costume, è Palio. E’ tutto quello che nel nostro paese e soprattutto nella nostra città, attiene alle rivalità storiche e municipali, da Romolo a Re­mo, da Cesare a Pompeo, dai Colonna agli Orsini e via duel­lando. Il derby è soprattutto azione, ecco perché questa lun­ga anteprima parlata rischia di indurre tutti a strafare. I critici cercano di analizzare l’incontro tecnicamente, ma il pubblico è a caccia di nuovi motivi di inte­resse. E stavolta ce ne sono tanti, forse troppi per un con­fronto che onora la tradizione e si chiamano Luis Enrique, Heinze, José Angel, Pjanic, Bo­jan, Osvaldo e compagnia bel­la. Ma un derby bisogna saper­lo vivere più che scoprire. Il problema della Roma è tutto qui. Per altri sette giorni ver­ranno studiate le possibili sor­prese. Ma un derby è solo istin­to sanguigno e naturalezza spontanea.

La Roma ha sempre domina­to questa sfida con una disin­voltura che deriva forse dalla sua estrazione popolare. Sta­volta però la squadra vuole darsi uno stile meno rusticano. E questo potrebbe essere un al­tro problema. Un derby non si vince col fioretto, ma con il cuore, con i muscoli, magari anche con un po’ di cervello. Lo hanno sempre saputo i grandi combattenti della storia giallo­rossa, da Volk a Ferraris IV, da Amadei a Losi, da Da Costa ad Ancelotti e all’allenatore Ra­nieri. Sono gli agonisti e i go­leador a conquistare il pubbli­co del derby, per quella testi­monianza di umanità che que­sti atleti riescono a fornire at­traverso l’impegno. Ai suoi tem­pi Fulvio Bernardini, a proposi­to di un derby ebbe a dire: ‘Visto che si finisce sempre per giocarlo male, bisogna almeno saperlo vincere’. Siamo certi che la vecchia guardia della Roma è tutta allineata su que­sta linea di pensiero. Ecco per­ché sarà importante la presen­za in campo di Totti e De Ros­si, o comunque di qualcuno tra Pizarro, Burdisso, Cassetti, Perrotta, Taddei, Rosi. E’ nota l’ammirazione che gli americani nutrono per Roma. Chi (e ce ne sono anche in Ita­lia) non ricordasse le vicende storiche e religiose della Città Eterna, la sua centralità come capitale dell’arte, può sfogliare i giornali da tremila anni a questa parte per farsene un’idea. Sfruttare questo presti­gio è l’esemplare operazione di marketing che DiBenedetto in­tende realizzare. Anche le ulti­me esternazioni di Sabatini ci hanno lasciati ammirati per la sincerità con cui ha trattato an­che argomenti molto spinosi, tra vaghi ricordi da dirigente della Lazio e qualche speran­za d’essere comunque conside­rato un ‘portatore sano’. Com’è confortante però accorgersi che i nuovi dirigenti della Ro­ma non chiedono al calcio ciò che sinora il calcio ci ha dato in abbondanza: mercenari e furbetti della panchina. Per adesso vanno incoraggiati per come sanno difendere la loro ‘rivoluzione’ e per la sfida che stanno lanciando alle vecchie, sbagliate abitudini. Ed è anche confortante costatare, dalle pa­role della moglie Ilary, che la vera forza di Totti è la famiglia sana che ha saputo costruirsi intorno. Complimenti!

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