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IL TEMPO Stadio, Comune a rischio commissariamento

Stadio della Roma (foto asroma.it)
Stadio della Roma (foto asroma.it)

(F. M. Magliaro) Due terzi, sessanta giorni su novanta a disposizione se ne sono già andati. E manca un mese: se entro il 28 agosto il Campidoglio non darà una qualsiasi risposta sul progetto dello stadio della Roma di Tor di Valle si rischia il commissariamento da parte del Tar. A richiederlo sarebbe la stessa As Roma per inadempienza dell’amministrazione capitolina. Con la possibilità di danno erariale per i funzionari coinvolti nel progetto. Esattamente come sta avvenendo per la Nuova Fiera di Roma.

Mentre in Comune i funzionari proseguono un esame delle carte che somiglia sempre più a una tela di Penelope funzionale a guadagnare tempo e permettere alla politica di prendere una decisione, «radio Campidoglio» racconta a questo proposito che, finalmente, il dossier Tor di Valle sarebbe giunto sulla scrivania del vicesindaco, Daniele Frongia – ha lui la delega allo Sport – il quale ieri ha detto che la mancata trasmissione dei documenti alla Regione è dovuta a «questioni tecniche ed urbanistiche non politiche». E su quella dell’assessore all’Urbanistica, Paolo Berdini, che, in nome della trasparenza, dopo il profluvio di interviste (e relative polemiche) sparacchiate a ridosso della campagna elettorale, oramai è scomparso da tutti gli schermi radar, rifiutando anche le chiamate al telefono. L’argomento stadio per i pentastellati sembra quasi un tabù: alla presentazione degli atleti azzurri in partenza per le Olimpiadi di Rio, a una domanda dei giornalisti in merito allo stadio visto in chiave candidatura olimpica, Augusto Rubei, (futuro) portavoce del sindaco Raggi, ha immediatamente glissato e cambiato argomento. Nonostante questa cortina di ferro calata dall’alto, qualcosa, nella galassia pentastellata, sembra muoversi.

L’irresistibile potere della rete del quale si nutrono i 5Stelle fa più miracoli delle domande della stampa: via Twitter cinguetta il presidente della Commissione Trasporti, Enrico Stefàno, che, in un botta e risposta con gli utenti, afferma: «Quello che vogliamo proporre è togliere tronchino B e destinare tutto a Lido», vale a dire di destinare la quota di investimento inserita nella delibera di pubblico interesse (50 milioni di euro e spicci) non più alla creazione di uno scambio sulla linea B, ma direttamente per contribuire al rifacimento della Roma-Lido di Ostia. Una eventualità questa, già contenuta nella stessa delibera di Marino e Caudo la quale, per garantire che almeno il 50% dei tifosi possa recarsi al nuovo stadio usando il trasporto su ferro, prevede «prioritariamente» (non obbligatoriamente) un intervento sulla linea B ma anche la possibilità che, in Conferenza di Servizi regionale, vengano esaminati i problemi legati al funzionamento della linea e alle possibili interferenze proprio con la Roma-Lido.

«Il prolungamento della B è una cosa che non sta proprio in piedi e lo abbiamo detto più volte. L’unica strada percorribile – spiega Stefàno durante una pausa dei lavori del Consiglio comunale sull’assestamento di bilancio – è quella del potenziamento della Roma-Lido. La nostra idea è che fare una diramazione sulla B non è sostenibile perché avrebbe degli effetti negativi sulle frequenze di servizio: occorrerebbe una ristrutturazione totale della linea B, armamento, linea aerea, segnalazione, e acquistare 10 nuovi treni, oppure andresti a creare, con lo scambio per Tor di Valle, un problema sulle frequenze dei treni. Fare un secondo scambio sulla B dopo quello di Bologna, significa chiudere la metro B. Questa idea è condivisa anche con l’assessore ai Trasporti, Linda Meleo».

Solo che, appunto, per poter aprire questo tavolo di discussione, il progetto in Regione ci deve andare e su questo Stefàno dice: «Non so, non mi occupo di urbanistica, quindi non saprei a che punto siamo». E, infatti, è tutto fermo da sessanta giorni. Sempre «radio Campidoglio», racconta del senso di sicurezza di molti funzionari che stanno con le mani sul dossier: la legge stadi (la finanziaria 2014, legge 147/2013), non cita identifica espressamente un tempo stabilito entro il quale il dossier va trasferito dal Comune alla Regione per l’apertura della Conferenza di Servizi. E, quindi, tutti belli tranquilli in attesa che Berdini decida che diavolo farne di questa grana. Solo che – sembra – si siano tutti dimenticati di una norma ben precisa: la legge su processo amministrativo, la 241/90. Che in modo molto chiaro disciplina qualunque istanza venga presentata alla pubblica amministrazione.

In sostanza, spiegano gli esperti di diritto amministrativo, il Campidoglio potrebbe già essere considerato in ritardo di un mese. La norma dice che il Comune ha (avrebbe) 30 giorni per rispondere. Un limite portato a 90 in caso di «particolare complessità» dell’istanza presentata. Dando per buona la complessità del tema – cosa, peraltro, tutta da dimostrare – i 90 giorni scadono il 28 agosto. E oggi siamo, appunto, a due terzi del tempo concesso. Sbrigarsi, dovrebbe divenire la parola d’ordine: scaduto il termine, il rischio (tutt’altro che remoto) è che il 29 agosto parta l’istanza al Tar. E, tra l’altro, qualunque somma il Comune fosse condannato a pagare, la Corte dei Conti potrebbe imputarla come danno erariale e farla pagare in prima persona ai funzionari capitolini che hanno oggi in mano il dossier. Sarebbe davvero un gran successo per la Giunta Raggi venire commissariata per inadempienza sul più importante progetto privato che sia mai stato presentato a Roma negli ultimi 15 anni.

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