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IL MESSAGGERO Roma, non solo il mal di testa

Spalletti
Spalletti

(M. Ferretti) Qui non si tratta (più) di diventare faciloni, per dirla alla Spalletti. Non può essere solo la faciloneria, insomma, la causa che porta sistematicamente la Roma a dilapidare punti su punti. La quarta rimonta stagionale, per certi versi la più triste considerato il valore (modesto) dell’Austria Vienna, non può essere spiegata tirando in ballo solo la scarsa concentrazione, la superficialità, la frivolezza della squadra a pochi minuti dalla fine e con due gol di vantaggio; non può, anzi non deve bastare tirare in ballo una componente psicologica per definire una figuraccia così clamorosa. Alla base dell’ennesima vittoria buttata nella mondezza ci sono soprattutto responsabilità tecniche, che chiamano in causa sia i giocatori sia l’allenatore. Come sempre capita anche quando le cose vanno bene.

LA SCARSA CREDIBILITÀ Ecco perché nell’analisi delle brutture che hanno portato l’Austria Vienna a pareggiare una partita già persa ci sono soprattutto errori e limiti tecnici dei protagonisti, alcuni dei quali tutto dovrebbero fare tranne che indossare la maglia di una squadra ambiziosa (almeno a parole…) come la Roma. Traduzione: se uno non è un grande calciatore, può cedere più o meno alla faciloneria ma sempre un giocatore non grande rimane. E così la normalità della Roma continua ad essere la capacità di fare gol a tutti e di farsi fare gol da tutti. Una squadra inaffidabile, in poche parole. Al punto che le partite-modello contro Inter e Napoli rischiano di diventare, a gioco lungo, eccezioni e non la regola. Un colpo durissimo alla credibilità della Roma. Perché quando si pensava che la squadra e Spalletti avessero trovato la quadratura del cerchio arriva un’Austria Vienna qualsiasi a rimettere tutto in discussione. Con l’aggravante, tipica in questi casi, delle dichiarazioni dei protagonisti. Tipo quelle dei calciatori: «Non sappiamo neppure noi cosa ci succede…». E chi dovrebbe saperlo? Meglio pensare, allora, che siano solo banali frasi di circostanza per una penosa autocritica, visto che in campo un professionista dovrebbe sempre sapere cosa fare e cosa non fare. Si dice: ma non era la vera Roma. E pensare che la doppietta austriaca del pareggio è arrivata quando in campo non c’erano più Iturbe e El Shaarawy ma Salah e Dzeko… E, poi, cosa significa vera Roma? La Roma è una. Sia che giochi Tizio oppure Caio. Perché se Tizio e Caio sono della Roma, vuol dire che sono stati reputati giocatori da Roma.

EFFETTO AUSTRIA VIENNA Paradossalmente, i due schiaffoni rimediati negli ultimi minuti della partita di giovedì sera potrebbero avere un effetto positivo, anti faciloneria in vista dell’appuntamento di domani sera contro il Palermo. Partita da dammi tre punti e non chiedermi niente, considerata l’odierna sfida al Meazza tra Milan e Juventus. Vincendo, la Roma guadagnerebbe automaticamente qualcosa su una delle due oppure su entrambe, dando così un nuovo senso al suo campionato fin qui troppo ballerino (due sconfitte in otto gare sono troppe, se si guarda verso l’alto). «Il nostro obiettivo è lo scudetto», ha sentenziato il presidente James Pallotta prima dell’inizio del torneo: continuare a fare filotto all’Olimpico (almeno in campionato…) potrebbe aiutare non soltanto il bostoniano a crederci ancora. A patto che la fase difensiva della Roma dia segnali concreti di saggezza tattica. Dal primo all’ultimo minuto, recupero compreso.

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