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CATANIA-ROMA. La partita vista da Kansas City 1927

Catania Roma

A Catania piove. A secchiate, a palate, a ondate, a sgrullate, piove dar primo all’urtimo minuto possibile della trasferta più insidiosa, scorbutica e stronza tra le 17 insidiose, scorbutiche e stronze previste dar calendario.

Reduci da una serie positiva tale da conferì ala parola “progetto” non più solo e unicamente significati da cojonella ma anche e finarmente sostanza e prospettiva, la domanda che attanaja la vigilia è fondamentarmente una: riusciranno i nostri troppo giovani eroi a nun fasse impressionà come negli anni passati dale teste de cavallo mozze sparse a manciate sotto le coperte dei loro letti d’hotel etneo? Sapranno i nostri imberbi grimardelli scardinà la cabbala che dar dì delo spallettiano settebello ce vole sconfitti, minacciati, umiliati, calpesti e derisi in quer der Fucibali? Sarà un caso che er Cannicane Heinze, l’omo più feroce de tutta la rosa giallorossa, anziché in campo sia eccezionarmente schierato a bordo campo, laddove leggenda narra che inservienti e picciotti variamente assortiti mandino in scena durante i 90 er più turpe dei giochi dei mimi?

Ai poster dele stanze dele teenager della città eterna l’ardua sentenza, sentenza che sembra subito positiva, dato che nei primi 45 secondi imbastimo non una ma dù palle gò. Imbastimo nela pioggia e nela fanga, ma nei primi dieci minuti nce famo caso, anche perché sarebbe pure ora, na vorta pe tutte, de mettese de traverso ar logo comune che vorebbe i giocatori più tecnici penalizzati sui campi pozzangherosi. Se sei più tecnico de no scarparo, quello, co la pioggia e con il vento, cor sole e co la nebbia, avrà sempre e comunque più difficortà de te che sei tecnico a controllà er cuoio balòn. Certo, la palla non scivola come dovrebbe, non scivola soprattutto come Juan, che va lungo e libera er primo de na serie de contropiedi lavici che tanta paura ce fanno ma sempre ce graziano.

E’ durante uno de questi che Bergessio prova l’ebrezza de lanciasse solo verso Franco, il quale Franco vede il tozzo argentino caracollargli incontro palla ar piede, immagina l’urlo de tutta Kansas City e je esce incontro. Er Bergessio, corendo, vede un’ombra, ma siccome diluvia e è notte capisce che non po esse er sole che s’è oscurato ma Franco che jè uscito. “Mo me tocca e pio rigore” pensa Bergessio. “Mo je dico na cosa all’orecchio, e vedemo se ce sente”, pensa invidioso Franco ballandoje affianco. Cosa abbia sussurrato er portiere olandese ale recchie dela punta argentina non è dato sapere. Tante le ipotesi che spopolano, impazzano e viraleggiano ner ueb. Fatto sta che Bergessio s’emziona, inciampa, farfuglia e stramazza tra i tabelloni pubblicitari senza che Franco manco se sporchi. Ma il tozzo pampero sente che manca ancora quarcosa pe guadagnasse pe meriti acquisti sull’acquitrino la membership onoraria dei Roma Club de mezza capitale, quindi decide de raddoppià gli sforzi, e se ne magna nantro. Per la verità a sto giro riesce pure a tirà in porta, ma  er fio de Thor, che tra nubifragi e tuoni e furmini se sente a casa, se spalma sulla riga bianca e dice no! ar gò dell’argentino, no! ai gò presi a cazzo, e ancora no! a sta sciocca integrazione tra popoli così lontani, e nonostante na mezza quaja (liscia col destro preposto ma intruppa er balòn col sinistro postposto) riesce comunque nell’intento.

Ma c’è poco da festeggià, questi vanno a tremila, ed è inutile sperà che giove pluvio ce li arugginisca in tempi rapidi, tutta st’acqua sembra faje mbaffo: zero ruggine, zero calcare, pare che s’allenano in piscina da quando so nati. Ce stanno a pià a pallonate, e alla fine ariva quella giusta, sulla capoccia dell’atleta de Cristo. Tutti i peccati, le parole, le opere e le omissioni compiutesi a Trigoria vengono messe all’indice dalla parabola de Lodi, ed è facile pe lo spilingone inquisitore ergersi sopra le miserie umane, prendersi la rete e farsi pescatore di uomini. E se, come dice na vecchia hit, gesù bambino viene in una grotta ar freddo e ar gelo, le madonne vengono dalLe Grottaglie alla pioggia e al vento. Stamo sotto, e se lo meritamo pure.

Ma la bilancia der carcio, quella brutta mignotta che dispensa gioie e dolori coi suoi braccetti a lunghezze variabili e imperscrutabili, così come c’ha tolto quando ce doveva dà quarcosa, a sto giro decide de pende dalla nostra inaspettatamente. Non c’è manco er tempo de finì de prendesela co Padre Legrottaglie che ariva nantra capocciata uguale e contraria a sconvolgere la pace e l’armonia nel creato. Il malvagio Capitano delle forze del demonio instilla na palla a centroarea come fosse menzogna nel cuore de na creatura innocente, l’infedele barbuto Capitan Boh, cor 16 sulle spalle che pe nattimo diventa 666, con l’aiuto del maligno se fa strada tra gli esorcisti rossocelesti e come un Lutero che affigge tesi su na porta, affligge Campagnolo e la sua porta e dà il via alla controriforma. Gli angeli piangono, e se vede, ma il popolo è libero dal giogo de na chiesa corrotta, e allora giogamosela sta partita, e allora gridamo, esurtamo, spojamose, sur campo sventola majetta bianca, esticazzi dell’ammonizione.

Rinfrancati nell’animo, tonici e laici, riprendiamo coraggio e se riaffacciamo subito dalle parti loro, co Cristiano Rosialdo ansioso de fa vedè i risultati del Master in Dribbling e Salto dell’uomo, ma evidentemente ancora non ha frequentato il corso de Simulazione comparata tenuto dal professor Nedved, e se lascia cadè mpo troppo facilmente. “Te sei tuffato!” ringhiano scomposti i catanesi. “Ma perchè su sto campo che cazzo voi fa?” risponde puntuto lui. Tajavento conviene sull’inattaccabile argomentazione e je risparmia er giallo, mentre le nuvole non ce risparmiano manco na goccia. Ma tra naffluente e nestuario c’è ancora qualche spazio pe giocà, e questi ce provano fino alla fine der primo tempo, che secondo sempre più de noi dovrebbe coincide co la fine dela partita, comunque è solo pe un mix tra un ritrovato Kjaer e un disperso Bergessio che alla pausa phon se ariva ancora sur pari.

Dai collegamenti a bordo piscina tra un tempo e l’altro sembra sempre più probabile che, se ce sarà un rientro, lo faremo co la speciale divisa dell’Arena ar posto de quella della Kappa, e se anche la partita se dovesse mette male se tenterà almeno de portà a casa un buon tempo sulla staffetta dei 100 rana. Invece, dopo nquarto d’ora, mentre a tutti je rode er culo, c’è uno che co la pioggia e cor vento se taglia, e cor suo buonumore dice a tutti che è ora de fasse nantro po de vasche, che je frega a lui, tanto c’ha er fischietto cor boccajo.

Se ricomincia a giocà, ed è subito scapoli ammogliati. I giocatori se trascinano come javessero messo gli scarpini de travertino, er pallone se trascina e s’arena a ogni mezzo giro, e dopo mpo nse capisce chi trascina chi tra pallone e giocatori. A divertisse davero, pe opposti motivi, so solo Kjaer e Taddei. Er primo, finarmente a suo agio ner clima tempestoso, se immola in poderose sgommate de culo ariano atte a sollevare guazza a favor de telecamera onde stimolare replay per pubblicità da omini veri, tatuati, biondi e cor laccetto in testa che non devono chiedere mai un amaro lucano. Er secondo, divenuto capitano dopo l’uscita Dercapitano e de Capitan Boh, decide de approfittà der vecchio adagio che vole er giocatore cor capello bagnato immotivamente più bello e telegenico.

Ora, siccome intorno a lui so tutti mezzi modelli, su de loro la differenza è poca roba. Ma per Rodrigo Carlos le cose so diverse. Abituato a sentisse er più brutto dela rosa, leggermente sollevato dal recente acquisto dell’Incisivo Lopez, tutto bagnato se sente nantro. Rodrigo sa che è l’occasione giusta pe rifasse nimmagine, ragion per cui pia la palla che Tajavento aveva appena fatto smorzà come caciotta sgonfia sula palude e la libbra nell’aere. “Non è vero Tajavé, er balòn rimbarza Tajavè”, urla Rodrigo. “Tajavè, questo è un gioco, ora vi faccio vedere. Bisogna esercitarsi, bisogna provare, provare, provare, provare e poi ci si riesce bene. La palla si lancia e si riprende, anche due o tre volte. Si lancia nell’aere e si riprende”. La palla, sia detto senza offesa, lanciata da Rodrigo, sale tra lampi e saette e ricasca nell’unico punto asciutto, arido, colpito da siccità der Fucibali.

“Visto? Vi insegno io come si fa”, propone Rodrigo sorridente a Tajavento mentre tutti gli altri lo mandano affanculo. “Dovete provare, provare, provare, provare”. Ma Tajavento è stufo, je se so bagnati ciuffo e completo de riserva, motivi più che validi pe mettese er fischietto in bocca e decide, a soli 27 minuti dala fine, che le due squadre

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