(S. Meloni) – Approfondire ciò che è successo all’esterno dell’Atleti Azzurri d’Italia non significa sposare episodi violenti o atteggiamenti idiosincratici nei confronti della legalità (che tutti deprechiamo e dai quali ovviamente ci preme prendere distanza), ma cercare di fare informazione in maniera corretta. E per fare ciò, generalmente, bisogna aver assistito ai fatti. Parlare, scrivere e giudicare da desk è spesso dannoso e fuorviante.
“Ci hanno fatto uscire stranamente molto presto– racconta Antonio (nome di fantasia), presente a Bergamo -. I pullman per la stazione erano davanti e sono partiti subito, mentre quelli destinati al parcheggio di Via Spino (dove chi è arrivato in auto è stato caricato su bus urbani), erano dietro. Vicino alla tribuna scoperta cominciano alcuni problemi tra bergamaschi e polizia, questi ultimi lanciano i lacrimogeni e il fumo arriva fino a noi. A questo punto, per non soffocare, scendiamo dai pullman per trovare dell’acqua da mettere sugli occhi e dei fazzoletti. Il cancellone d’uscita è incautamente e stranamente lasciato aperto, qualcuno di Roma (non certo duecento come ho letto, saranno state una ventina di persone) prova ad uscire e si creano alcune tensioni con la celere. Il tutto dura massimo quattro minuti. Dopo un quarto d’ora – termina – le forze dell’ordine decidono di identificarci tutti, riprendendo con una telecamera i nostri documenti, gli abiti, le mani e i piedi. Riusciamo a tornare al parcheggio soltanto alle 19,20”. Anche Mario (nome di fantasia) consta qualche stranezza nella gestione del deflusso: “Ero sui pullman diretti al parcheggio, con la mia ragazza – dice -. Dopo l’uscita di quelli diretti alla stazione ci hanno fatto temporeggiare, non so perché. Poco dopo cominciano i problemi con i tifosi dell’Atalanta, dall’altra parte del cancello ed arrivano alcune bombe carta nella nostra zona, “ricambiate” anche da parte di qualche romanista. Alcuni tifosi giallorossi scendono per reggere il cancellone, lasciato aperto, e là partono delle cariche che definirei esagerate, considerata anche la presenza di donne e bambini, il numero esiguo di persone che hanno reagito in maniera veemente e lo spazio angusto dove eravamo chiusi (la zona tra il prefiltraggio e i tornelli è recintata e senza vie di fuga). Nei video che sono stati diffusi i fatti si vedono solo parzialmente, quindi è difficile capire bene cosa sia successo. Ripeto, non comprendo perché ci abbiano fatto uscire subito ma poi costretti a rimanere nel parcheggio. Non penso fosse impossibile organizzarsi per far defluire tutti e due i tronconi di tifosi. Se così fosse stato non sarebbe successo nulla. Un’organizzazione alquanto fallace”.
C’è poi chi come Patrizio (nome di fantasia) si lamenta per il lancio di lacrimogeni “avvenuto ad altezza uomo” dice. “Sono stato colpito sulla spalla dove fortunatamente il giubbotto era rinforzato dalla presenza dello scaldacollo nella tasca superiore. Ho riportato solo un livido”. R.V. invece sottolinea come “All’uscita la situazione era tranquillissima, si poteva andare via senza problemi come hanno fatto i bus per la stazione e altri due privati. Invece ci hanno tenuti stipati nel parcheggio e quando è iniziato il lancio di lacrimogeni, in seguito a quello di bombe carta provenienti da fuori, siamo semplicemente scesi per respirare. Faccio parte di un club, non sono un ultras. Ma posso tranquillamente dire che la situazione stava degenerando e quei ragazzi che si sono avventati sul cancello lasciato aperto lo hanno fatto per difendersi. Sicuramente hanno sbagliato i modi. Ma volevano difendersi”. Infine Claudio (nome di fantasia): “I lacrimogeni sono stati lanciati in mezzo alla gente, quelli tipo bomboletta di ossigeno, che se ti colpiscono non fanno di certo bene. Qui sono iniziati i disordini al cancello giallo (incredibilmente apribile dall’interno, un qualcosa di pazzesco!) visibili nei video ed è continuato il lancio selvaggio di lacrimogeni addosso ai presenti, anche a quelli più pacifici. Tempo dieci minuti e tutti siamo risaliti sui pullman per essere identificati uno a uno. Uno dei graduati ci ha intimato: “O vi fate identificare uno a uno o i miei uomini vi ammazzano di botte”. Avrebbero almeno dovuto aspettare a lanciare in maniera così sconsiderata tutti quei lacrimogeni. Si è rischiato qualcosa di più grave della tosse e delle lacrime”.
Eppure le agenzie, i video e le fotografie viaggiano immediatamente spedite. Sport Mediaset mette in primo piano una fotografia degli scontri in Francia, durante un corteo contro la legge sul lavoro, spacciando i soggetti per romanisti (Gandini ne chiederà subito la rimozione). Sky TG24 dedica un canale specifico e tutti i giornali riportano la notizia. Gonfiandola e modellandola ad hoc. Cavalcando l’ondata di terrorismo psicologico alzatasi sin dall’inizio della settimana. Senza porsi alcun quesito. L’importante è dare la notizia, esacerbarla e fare spallucce sul contenuto della stessa. Arriva prima il clamore della verità al giorno d’oggi.
Si invocano pene esemplari, annientando subito tutte le istanze piovute fino a quel momento circa la questione barriere. “Forse qualcuno non aspettava altro” dice una divulgata vox populi. Qualcuno vorrebbe sminuire anche la società che, nei panni di Baldissoni, proprio prima del fischio d’inizio ha nuovamente alzato la voce: “Le barriere non sono degne di un Paese civile”. E intanto è la tifoseria resta “sotto osservazione”. In prima istanza viene da porsi una domanda: a cosa è servito identificare uno a uno gli occupanti dei pullman? A cosa servono i biglietti nominativi, la tessera del tifoso e le telecamere istallate in ogni angolo degli stadi se poi si lascia comunque una spada di Damocle pronta a punire migliaia di supporter alla rinfusa? Mica si vorrà suffragare la tesi di chi vede la maggior parte di questi strumenti come un’elefantiaca macchina burocratica per allontanare i tifosi dagli stadi e non per sconfiggere eventuali fenomeni di violenza? I media main stream, pronti a sfregarsi le mani domenica sera, hanno provato a ragionarci invece di ergersi a giudici divini scesi in terra?
Si preferisce la via del proibizionismo. Come si fa ormai da quindici anni a questa parte. Come si farebbe a scuola. Marco nasconde il cancellino? Tutta la classe non va in gita. “I tifosi della Roma non hanno superato l’esame di maturità”. Ma forse sfugge che i tifosi della Roma non sono bambini. Sono adulti e vaccinati. E come tutti i cittadini hanno delle loro responsabilità ove commettano reati. Queste sono e restano individuali. Come ha sottolineato sempre Baldissoni, ieri mattina. Evidentemente una bella fetta di stampa e istituzioni hanno semplicemente deciso che laCurva Sud deve morire. Lo hanno deciso i Stefano Pedica di turno, quelli che hanno invocato i divieti sempre e comunque (nonostante anni fa, in una delle sue molteplici fasi di trasformismo si dichiarasse vicino alle curve nella battaglia contro la tessera del tifoso) e quelli che con il loro populistico “Follia ultrà” hanno costruito carriere solo e soltanto dietro uno schermo del pc. Ingigantendo notizie e chiedendo pene esemplari, anche laddove in sede legale gli esiti sono stati ben differenti (ogni riferimento ai tifosi prosciolti per gli incidenti di Vienna è puramente casuale) e anche dove questa fantomatica “guerriglia di Bergamo” non ha prodotto divieti a raffica come preannunciato da esimie penne.
Mettere tifosi contro tifosi per giustificare qualsiasi tipo di vessazione nei loro confronti e screditare una battaglia, quella contro le barriere, portata avanti pacificamente e in punta di diritto. Di fronte a queste imposizioni bisognerebbe pretendere che talune situazioni vengano analizzate in maniera neutra e veritiera. Non si capisce quale sia il nesso tra le barriere dell’Olimpico, gli episodi di Bergamo e il divieto di tutte le trasferte. Eppure si tenta di mettere tutto nel calderone. Foraggiando una campagna mediatica che ha già svolto i suoi processi (ancor prima della magistratura), ha già reso noto volti e nomi (e chissenefrega del diritto alla privacy e alla dignità umana) e ha già deciso che la Roma (ma in generale il calcio) non debba avere più il suo pubblico. Né in casa, né in trasferta.
Eppure non è una novità. Basti pensare, prendendo una storia a caso, al processo mediatico che subirono i tifosi del Napoli nel 2007 (con relativo blocco delle trasferte per tutto l’anno). Proprio dopo una trasferta a Roma in cui vennero accusati di aver distrutto un treno e creato disagi (il tutto smentito dalla Procura della Repubblica, da un articolo di un giornalista tedesco che effettuò la trasferta con loro e da un servizio realizzato da Rainews). Se questa deve essere la strategia della tensione del ventunesimo secolo cerchiamo di aprire gli occhi. Fare di tutta l’erba un fascio è quanto di più deprecabile possa fare una società socialmente avanzata. Siamo sicuri di esserlo?