(M. Evangelisti) «No, io non posso fare l’assessore se sono commissariato», si sfoga Paolo Berdini. «Aspetta, Paolo, non decidere d’impulso, perché non stiamo parlando di badanti o tutor, saranno solo dei collaboratori che ti daranno una mano, non puoi fare tutto da solo. Sappiamo che eri sotto pressione e non è neanche giusto giudicare il tuo operato di stimato urbanista da una conversazione di pochi minuti, contano molto di più le lunghe ore del tuo lavoro». Questo è il senso dei concetti messi in fila dalla diplomazia pentastellata per convincere Berdini a restare. Berdini – di cui tutti si aspettavano una rapida uscita di scena vista la plateale conferma del nastro con le sue parole anti-Raggi – ieri mattina demoralizzato, ripeteva quello che aveva già spiegato ai colleghi di giunta, «sono dispiaciuto, ero sotto pressione, stanco, ho sbagliato». Però insieme al pentimento per i giudizi severissimi sulla sindaca Raggi confidati al giornalista ieri è cresciuto anche il timore di essere umiliato, il desiderio di mollare. I titoli dei giornali non gli sono piaciuti (ma come aspettarsi qualcosa di diverso?): la Raggi e il Movimento 5 Stelle hanno respinto le due dimissioni, ma sarà commissariato, affiancato da due tutor che verifichino che non faccia altri danni. I badanti. «Ma vi pare che possa accettare una cosa del genere, alla mia età…» ha detto a chi l’ha chiamato, con voce sempre più flebile. Berdini ha sempre avuto una fama controversa. La più recente se l’è conquistata sul campo: ribattezzato lo stadista per l’iniziale favore verso lo stadio (poi clamorosamente rientrato), subito scavalcato dall’ala ancora più stadista dei cinquestelle. La stessa che adesso vorrebbe usarlo per ammantare di credibilità il via libera a un compromesso su Tor di Valle. A tradirlo la sua incontinenza verbale durante tutti i sette mesi. «Ma sarebbe ingiusto giudicare un urbanista di questo livello da una frase di pochi minuti, lasciamolo lavorare e poi decideremo sulla base dei risultati che ha ottenuto», ha detto tra gli altri nella riunione di maggioranza dell’altra sera il presidente del Consiglio comunale, Marcello De Vito. Nonostante la ciambella di salvataggio lanciata quando ormai sembrava affogare, ieri Paolo Berdini in Campidoglio non è andato. Era atteso, visto che è stata approvata una delibera di urbanistica, ma la sua sedia è rimasta vuota. E si è svolta una riunione un po’ surreale, durante la quale né la Raggi né gli altri assessori hanno parlato del grande assente, come quando in famiglia si preferisce non parlare di un parente che ha creato qualche imbarazzo.
LA DIFESA DI BERGAMO In giunta, colui che ha difeso con più forza in queste ore Berdini è il vicesindaco Luca Bergamo, forse anche per i trascorsi comuni a sinistra. Berdini ora sta meditando, qualcuno lo descrive come un tipo a cui la poltrona non dispiace («se pensa quelle cose che ha detto al giornalista, avrebbe dovuto già dimettersi da tempo, no?», commenta maligno un esponente dei 5 Stelle). Ma per ora Berdini però per il Movimento è più utile se resta: cacciarlo, significherebbe quasi ammettere che la Raggi difende ancora alcune scelte sbagliate e criticate dall’assessore (le nomine di Marra e Romeo) di cui lei stessa si è scusata. E soprattutto: ad oggi non c’è un sostituto.