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Il Fatto Quotidiano “Stadium” e scudetto, una modesta proposta

(O. Beha) Habemus stadium: pare dunque che dal conclave tra Roma e la Roma sia uscito un filo di fumo giallorosso e che quindi questo nuovo impianto si faccia.

La questione ha assunto però un significato meta-calcistico troppo importante, diventando tutto iperpolitico e delicato sul piano urbanistico e ambientale. Elencare i detti e i contraddetti di tutti, nella vicenda ormai annosa che in questo febbraio ultimativo è stata sempre in prima pagina, farebbe rabbrividire Karl Kraus (noto trequartista austriaco), ci indurrebbe a disistima e sarcasmo ma soprattutto servirebbe a poco. Vediamone allora i punti salienti. Il primo riguarda la necessità sventolata da tempo di uno stadio nuovo, in un Paese ipercalcistizzato che ha ancora sul groppone gli stadi sbagliati di Italia ’90 e ha visto mezza Europa costruire stadi più adatti, meno capienti (in un momento in cui essi si svuotano, non si riempiono), innocenti da ogni stravolgimento cementifero. Si dibatte per anni sulla legge, a partire da Lotito che ora dice “E io?”, perché in realtà i neostadi vengono visti soprattutto se non esclusivamente come pretesto di speculazione edilizia. La legge passa in modo malcerto nel 2014 e la Roma che Pallotta e company hanno comprato con finanziamenti UniCredit velocizza il suo progetto arrivando, d’accordo con l’amministrazione del “marziano” Marino, a una selezione dei luoghi fino alla scelta di Tor di Valle, che prevede all’ingrosso un milione di metri cubi, di cui lo stadio rappresenta circa il 15%.

Il secondo punto riguarda la storia del sito e dell’omonimo ippodromo in pieno degrado, come tutta la zona. Casualmente i terreni assai prima delle firme sono finiti nella disponibilità di un costruttore di prima grandezza, Parnasi, dopo una storia opaca di chi è fallito e glieli ha ceduti. Sempre casualmente il costruttore, che con Pallotta detiene il progetto per uno stadio che il presidente della Roma noleggerà almeno inizialmente alla Roma stessa, è fortemente indebitato con Unicredit. Quindi casualmente nei quattro cantoni Unicredit-Pallotta-Parnasi-Unicredit lo stadio, o meglio il macroscopico progetto con tre torri di Lebeskind fatto di molte costruzioni, del verde indispensabile e dell’arredo urbano a carico dei progettatori, sistemerebbe un giro di “dare/avere” dalle cifre vertiginose. Il terzo punto è che tutto questo piomba sulle spalle esili del Sindaco Raggi e del suo leader ultracarismatico (cioè un ultrà del carisma…), Beppe Grillo. Che fare, negare tutto, ascoltando i cittadini e i pareri contrari sulla sicurezza del sito? Cedere e farsi amici coloro che si erano già inimicati sfuggendo (fortunatamente) i Giochi romani del 2024? Grande impasse per giorni, perché c’è anche un quarto punto: la tonitruante eco civica/tifosa di quei romani che vorrebbero comunque un segno di novità, visto che è una città al ristagno (ma farla funzionare decentemente com’è strappandola alla palude non vi basterebbe?); e di quei romanisti che vedono nel nuovo stadio una palingenesi calcistica, dopo tanta Juventus.

Come sia andata a finire, con un compromesso che prevede mezza cubatura ma nello stesso luogo, lo sapete. Vedremo che ci metteranno dentro. Ma se chiedi un milione di metri cubi e poi scendi alla metà, non dimostri “senso civico” ma fai pensare che comunque, in quei terreni, ci guadagni e molto lo stesso. Chi aveva accettato il primo progetto forse ha qualche responsabilità grossa, che dite? E poi: i tifosi romanisti pur di vincere uno scudetto nel vecchio come nel nuovo stadio sono davvero disposti a tutto, non importa il come? Anche “oscuro”? Omnia immunda immundis, alla luce non così infrequente di una domenica in cui abbiamo assistito a nefandezze arbitrali in dosi industriali, e sempre a favore dei più forti? Perché vedete, in un ambiente simile e in questo Paese si può immaginare quasi tutto, nel calcio come nel resto. Ormai che significa “essere onesti”, e sopratutto ne vale la pena?

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