(T. Damascelli) È caduto il ponte di Roma. Quello di Spalletti. Dio salva La Regina ma il Lione manda ai materassi l’allenatore toscano. Partita vinta ma inutilmente. Anzi, una vittoria confortata dal gioco, dalla passione della squadra e dall’enfasi dei telecronisti, è stata bruciata dall’eliminazione che, comunque ha una spiegazione elementare: la Roma ha subito 5 gol in due partite e ne ha segnati 4.
Il resto sono chiacchiere e Spalletti ci ha messo il suo carico, come gli capita da sempre. Ritiene di essere assediato e circondato da congiurati, sicari, fantasmi pronti a ucciderlo. Attacca la stampa ma contro il Lione è andato fuori giri con una frase schifosa rivolta ai calciatori del club francese (“un branco di finocchi”). Nella vita bisogna avere coraggio con Totti ma anche con se stessi. Spalletti ha detto di essere stato male interpretato nel labiale, lui, infatti, sostiene di avere detto “un branco di pinocchi”. In conferenza stampa ha aggiunto che forse “sono io a portare sfiga”, forse voleva dire “spiga”, basta cambiare la EFFE con la PI e la furbizia cambia. Siamo all’asilo Mariuccia (per i non lombardi, trattasi di comportamento infantile).
Roma fuori dalla Champions league e dall’Europa League, Roma battuta fuori dal Porto e dall’Olympique di Lione, le stesse avversarie che poi hanno pagato il conto con la Juventus. Questo per spiegare, ulteriormente, la forbice aperta tra le due prime in classifica della nostra serie A. La Roma ha perso a Lione pensando di rimontare all’Olimpico, secondo ultima moda lanciata dall’impresa storica, dunque difficilmente ripetibile, dal Barcellona. Ora c’è la partita di ritorno della coppa Italia, il derby contro la Lazio è appuntamento aspro, questa Roma non ha l’equilibrio nervoso ideale per affrontare l’appuntamento, l’assenza presenza di James Pallotta che, per uno stato febbrile, ha saltato la partita di coppa ma ieri mattina ha incontrato il sindaco Raggi, va ad alzare altri fumi tossici.
Aria di divorzio, più che di separazione consensuale, con l’allenatore che molti predicono alla Juventus e che ai dirigenti bianconeri, almeno fino a ieri sera, non passa per la testa nemmeno durante le vacanze. La Roma continua a rincorrere se stessa, con il timore di vedersi sorpassata, in campionato, dal Napoli, e, in coppa Italia, dalla Lazio. Sarebbe un fallimento totale, non soltanto per i contraccolpi di immagine ma per il bilancio che non è affatto florido (e l’eredità della famiglia Sensi non c’entra affatto, come invece sostiene l’avvocato Baldissoni). Roma non avrà il nuovo stadio ma Roma deve avere una squadra vera, definita, definitiva, nei cognomi e nella testa. Finora ha vissuto di promesse e di astio. Ha vissuto soprattutto sull’epoca di Francesco Totti che lascia una voragine tecnica al cui confronto le buche della città sono foruncoli. Calma, domenica contro il Sassuolo ricomincerà un’altra storia.