
(A.Sorrentino) – La Serie A è diventata come la società capitalistica moderna, sempre più diseguale e al contempo marmorea, senza avvicendamenti possibili o speranze di crescita: i forti sono sempre più forti come i ricchi sono sempre più ricchi, il livello medio segue il destino della classe media, cioè si contrae e tende a sparire, mentre aumentano i deboli e i debolissimi, come i poveri, che sono sempre di più. I valori del campionato sono appiattiti, le prime vincono sempre e le ultime perdono a rotta di collo, sono sparite le sorprese che rendevano il torneo vivace e appassionante. Mettendo a confronto la classifica dopo 29 giornate, prima dell’ultima sosta per le nazionali, e quella dopo 12 giornate (sosta dello scorso novembre), si apprende che la serie A è di fatto rimasta invariata, tranne alcune oscillazioni: Juve e Roma sempre prima e seconda; il Napoli ora è terzo ed era sesto; la Lazio sempre quarta; l’Atalanta da quarta a sesta, perché intanto l’Inter è risalita da nona a quinta (ma nonostante la gran rincorsa di Pioli il terzo posto è rimasto a -8) e il Milan è scivolato da terzo a settimo, e l’avvicendamento tra le milanesi è la novità più sensibile; poi è crollato il Genoa (da settimo a sedicesimo), ha guadagnato la Samp (nona, era dodicesima), mentre le altre sono tutte dov’erano quattro mesi fa, a cominciare dalle ultime, mai così deboli: Palermo, Crotone e Pescara hanno 41 punti in tre, la quota più bassa nell’era dei tre punti. Altri dati confermano che trattasi del campionato dal livello tecnico più infimo di sempre. Si segna più che mai, e anche se ogni tanto ci sono anime belle che esultano per i tanti gol, la verità è che non si tratta di una buona notizia, è segnale invece di difese deboli, ovvero di squadre deboli.