(A. Montanari) – Il calcio è l’oppio dei popoli. Ma stavolta rischia di annebbiare la vista a chi con il pallone ci deve convivere tutti i giorni e, soprattutto, fare business. Perché la principale fonte di ricavi dei dub italiani è rappresentata dai diritti televisivi. E se sul bilancio del Milan che Berlusconi sta vendendo al cinese Yonghong Li, finanziato dall’hedge fund Elliott, gli introiti da cessione dei diritti sulle immagini hanno una incidenza del 42%, per la Juventusvalgono più della metà del giro d’affari (194,9 milioni su 351,2 milioni, quindi il 55,5%). Mentre sui conti della prossima rivale dei bianconeri in campionato e in Coppa Italia, il Napoli, incidono per il 66,3%. Percentuale del tutto simile per la Roma (66%) e ancora più alta nei casi del Zbrino (71%) e Lazio (73,9%). Per questa ragione, in una Lega Serie A che non trova un nuovo presidente e rischia il commissariamento (Adriano Galliani sarebbe il candidato principale alla poltrona lasciata libera da Maurizio Beretta, ma ancora non c’è nulla di definito), si comincia a tremare. Perché l’asta per la vendita dei diritti tv non prende forma. Attesa per questa primavera, bloccata e rispedita al mittente dall’Antitrust, e poi dall’Agcom perché le linee guida, oggi riscritte, non erano complete e chiare, è probabile che scatti solo a ridosso dell’estate.
Al momento, in attesa del responso delle authority (hanno 60 giorni di tempo dalla consegna della documentazione approvata mercoledì in Lega, a Milano, e subito inoltrata a Roma), la data più plausibile per l’avvio del bando è inizio luglio. Anche perché, una volta ottenuto il via libera da Agcom e Antitrust (nel frattempo quest’ultima ha fatto ricorso contro la sentenza del Tar che l’anno scorso aveva annullato la maxi multa da 66,3 milioni comminata a Mediaset Premium, Lega Serie A, Infront e Sky), servirà un mese per la definizione dei pacchetti da vendere. L’obiettivo è chiudere prima dell’avvio del torneo 20172018. Ma oltre alle tempistiche e alle modalità d’assegnazione, il vero nodo è relativo all’identificazione dei soggetti che si presenteranno ai nastri di partenza. Questo sarà l’elemento decisivo per capire se si potrà replicare il positivo andamento dell’asta 2015-2018 che portò nelle tasche della Lega oltre 1 miliardo (grazie anche ai diritti venduti all’estero) e che permise a Infront di veder riconfermato il ruolo di advisor. Ma a quanto pare quel traguardo sarà difficilmente raggiunto. Il motivo principale è il cambio di strategia di Mediaset per la sua controllata Premium. Come ha più volte ribadito Pier Silvio Berlusconi, dopo l’investimento di 1,6 miliardi effettuato tre anni fa per l’acquisto delle immagini esclusive della Champions League 2015-2018 e di quelle delle otto principali squadre di serie A, quest’anno l’approccio sarà di tipo opportunistico.
Tradotto: se ci saranno pacchetti mirati e non particolarmente costosi si parteciperà all’asta. Ma senza fare follie. E magari si cercherà una sponda con Telecom Italia: l’incumbent tic, dopo l’iniziale smentita dell’ad Flavio Cattaneo, prenderà parte alla sfida, puntando principalmente al pacchetto relativo alla banda larga. E se Sky Italia farà la sua parte, concentrandosi sui diritti per il satellite a pagamento, e Discovery schiererà una più agguerrita Eurosport per valutare alcune opzioni (digitale fine con Nove o altre offerte mirate), in seno alla Lega Serie A c’è chi stima una potenziale perdita di valore dell’asta almeno del 20%, quindi una diminuzione di 200 milioni, se non di più, rispetto alla soglia miliardaria di riferimento. Un bel danno che avrà un impatto principalmente sui bilanci dei dub del massimo campionato di caldo. E quindi a cascata l’intero sistema-caldo rischia di arrivare al collasso. Anche perché parallelamente, si sta giocando un’altra partita, assai più strategica. È la sfida che riguarda il controllo, la gestione e il futuro di Premium. La pay tv del network di Cologno Monzese, nata nel 2005 per contrastare l’egemonia di Sky Italia, da sempre drena la liquidità della casa madre. Ora che è saltato, o meglio, congelato l’accordo di vendita stipulato nell’aprile di un anno fa con Vivendi (nel frattempo entrata nel capitale di Mediaset con il 29,77%), i vertici del Biscione stanno cercando alternative. E se da Parigi gli uomini di Vincent Bolloré, che temono la sconfitta in tribunale (la società italiana ha chiesto un risarcimento danni di 1,5 miliardi e la controllante Fininvest altri 570 milioni), dicendosi pronti a trovare un nuovo asse che magari coinvolga Telecom (Vivendi è il primo socio con il 24,77%), da almeno sei mesi c’è un convitato di pietra che osserva con attenzione l’evolversi della situazione: Sky. La pay tv satellitare guidata in Italia da Andrea Zappia, nonostante le smentite di rito che arrivano pure dal Biscione, sta valutando il dossier. Ovviamente non è disposta a riconoscere a Premium il valore preteso dai Berlusconi (1 miliardo) e neppure l’enterprise value assegnato da Vivendi al momento della firma dell’accordo vincolante: poco più di 750 milioni Per Sky, la pay di Cologno Monzese vale meno di mezzo miliardo. Ma le parti, nonostante ci siano di mezzo advisor e banchieri d’affari, non hanno intavolato una vera e propria trattativa, semmai si stanno annusando. In vista di tempi migliori. Tempi che, secondo alcune interpretazioni del mondo calcistico, coincideranno con quelli della conclusione dell’asta per i diritti tv. Un bell’intreccio che, forse, se venisse sciolto prima faciliterebbe il compito ai tanti attori in campo.
È per questa ragione, quindi, che la Lega SerieA e Infront punteranno soprattutto sulla vendita delle immagini all’estero. Con l’obiettivo di incassare almeno 300 milioni rispetto ai 200 milioni della precedente asta. Applicando una strategia differente da quella messa in atto nel 2014, non ci si affiderà a un unico inter-mediatore, ma si suddividerà il mappamondo per aree. La Cina sarà il mercato che sarà aggredito per primo: si contadi incassare almeno 80 milioni. Il Middle East sarà un altro interessante bacino, dal quale potrebbero arrivare 50-60 milioni. Poi ci sono altri target ritenuti pregiati: il Giappone (35-40 milioni) e il Centro-Sudamerica (30-40 milioni grazie soprattutto al Brasile e al Messico). Questa diversificazione d’offerta, ovviamente, comporterà un cambiamento significativo nella messa in onda delle partite, con un potenziamento della cosiddetta fascia del lunch time, sulla falsariga di quanto avviene in Premier League, il campionato più visto in Cina. Mentre pare esclusa l’opzione di non mostrare in tv tutti i match come avvenuto finora, nonostante il fatto che diversi casi gli ascolti siano ridotti al lumicino.
Ma l’Inghilterra è il benchmark anche per quel che riguarda l’assegnazione dei diritti tv della Champions League. Visto che British Telecom, pur di sconfiggere Sky Plc, ha messo sul piatto la bellezza di 1,181 miliardi di sterline (1,38 miliardi di dollari), un terzo di quanto la Uefa ha previsto per l’intero bando su scala europea, ossia 3,2 miliardi di euro. Così, se entro il 3 aprile sono attese le offerte per i diritti in Germania (Sky Deutschland, Deutsche Telekom e Zdf i potenziali bidder) ed entro il 3 maggio in Francia (Canal e BeIn Sports ai nastri di partenza oltre a qualche operatore tic), l’attenzione è tutta per il mercato italiano. Visto che l’Uefa per i diritti 2012-2015 incassò 480 milioni da Sky, la somma più alta tra i cinque principali Paesi europei, e per quelli 2015-2018 altri 660 milioni da Mediaset (secondo incasso dopo il Regno Unito). Ma questa volta, le cose potrebbero andare diversamente. Perché non è detto che Premium si ripresenti ai nastri di partenza, anche se da Cologno Monzese non negano un certo interesse. Pare però assai probabile che a farla da padrona sarà la pay satellitare di Rupert Murdoch, pressoché unico pretendente, con un assegno vicino ai 200 milioni. E questo nonostante il fatto che dalla stagione 2018-2019 l’Italia avrà quattro squadre iscritte di diritto alla massima competizione europea e che non ci sarà più l’obbligo di garantire la messa in onda di parte dei match anche al pubblico indistinto del digitale terrestre.
Fonte: milano finanza