(E.Menghi) – Diciannove mesi senza. Senza un derby così derby, vero, senza la Curva Sud e senza una Nord così imbottita di tifosi. L’astinenza ha spettacolarizzato il ritorno delle cose al loro posto. L’Olimpico ha ripreso a vibrare come ai vecchi tempi, i decibel si sono alzati, gli steward al posto delle vetrate hanno formato barriere umane nei corridoi centrali delle curve, dando un contesto di normalità di cui si sentiva davvero la mancanza. Via il plexiglass, dentro la passione. Non solo all’interno, anche fuori, perché i gruppi della Sud si sono dati appuntamento al Ponte della Musica un paio d’ore prima del fischio d’inizio e hanno sfilato fino all’Obelisco intonando cori e sventolando bandiere. Un corteo di mille persone, scortato ma a debita distanza dalle forze dell’ordine, che non sono dovute intervenire perché tutto si è svolto in un clima di totale serenità. Non ci sono stati incidenti e tutto è filato liscio, sotto gli occhi di 1.800 agenti, tra poliziotti e carabinieri.
Mette soggezione giocare in uno stadio così, non pieno come si meritava di essere in una sfida di questo spessore (troppi spazi liberi in Tribuna Tevere, un totale di 43.721 paganti), ma finalmente colorato e caldo. Centinaia di bandiere sventolanti nel settore giallorosso, più timido quello laziale per tutto il pre-partita, salvo poi trasformarsi nel momento clou in una vera e propria bolgia: bandierine biancocelesti e un maxi striscione sotto la curva: «…Da sempre il vostro incubo peggiore». Nessuna coreografia dall’altro lato, perché non vogliono piegarsi all’usanza (obbligatoria) di inviare prima il pacchetto di presentazione alla Questura. Scelte diverse, che non incidono però sullo spettacolo. La Sud si difende bene e con la classica «sciarpata» sulle note di «Roma, Roma, Roma» di Venditti introduce il derby di ritorno in Coppa Italia, insieme a dei particolari fuochi d’artificio sullo sfondo della Nord. Quando l’arbitro dà il via all’incontro le curve giocano la loro partita tra fischi, applausi, cori sfottò e batti e ribatti. Tutto come prima, o quasi. Perché ieri c’era la consapevolezza che si trattasse di una prova, di un esame da superare, anche se la tensione era circoscritta al campo e il resto stavolta non contava. Tolto il dente avvelenato delle barriere, tutto sapeva di derby.
fonte: Il Tempo