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Il Messaggero Ultrà, ecco gli ordini del tifo violento

(M. Allegri) I precetti del tifo violento. Per essere ultrà bisogna fare sacrifici, combattere battaglie fianco a fianco. Battaglie che «nulla hanno a che fare con intenti calcistici», specifica il gip Tamara De Amicis nell’ordinanza con cui dispone l’obbligo di dimora per 13 ultras della Roma, accusati di aver aggredito, il 31 marzo 2016, un gruppo di turisti svedesi colpevoli di aver indossato una maglia della Lazio. «Ne ho sbragati due, bellissimo», commentava via sms uno dei responsabili del pestaggio.

IL “ROMA” – L’inchiesta per lesioni è solo una parte del fascicolo del pm Eugenio Albamonte, che indaga su un nuovo gruppo di tifosi, il “Roma”, che comprende più di cento persone, tra cui le frange estremiste dei “Padroni di casa”, vicini a Casapound. Nei cellulari sequestrati agli indagati, la Digos ha trovato un vademecum del gruppo. «Oggi eravamo 300 domani saremo 500, orgogliosi di quello che abbiamo costruito», si legge in un passaggio. In un altro punto, un ultras incita i membri: fare parte del gruppo «significa sacrificio. Se qualcuno vuole trasferte tranquille nessun problema, ma qui si sta in una certa maniera. Significa dare disponibilità, rinunciare alla discoteca o qualsiasi altra cosa». Per il gip, il pericolo di recidiva è concreto, perché si tratta di «un’attività organizzata con un progetto per l’avvenire». Ai tifosi vengono impartite raccomandazioni, come quella di non pubblicare su Facebook le foto delle trasferte, «che non sono scampagnate de Pasquetta», si legge nella chat. L’aggressione ai turisti, avvenuta con caschi e coltelli, per il giudice «non sorprende, perché è una mera attuazione del programma». Ma gli inquirenti indagano su altri episodi, come quello del 20 ottobre 2016, quando la Roma ha sfidato l’Austria Vienna. Gli scontri, scrive il magistrato, sono avvenuti «sempre nella stessa zona, (area Castro Pretorio ndr) che gli indagati considerano un loro territorio e non tollerano interferenze».

L’AGGRESSIONE – Contro i turisti, gli indagati hanno agito in modo «premeditato», programmato con ronde e sopralluoghi. A dare il via al blitz, Simone Tacchia, soprannominato “Er tempia”, uno dei leader. «Li sento cantà ste m…», scrive nella chat, che conta ben 116 partecipanti. Il giorno del pestaggio nel pub Yellow di via Palestro vuole essere sicuro di poter contare su rinforzi: «Raduniamo un numero buono, anche come qualità… sia i nostri che i Padroni». Il giorno dopo, uno degli indagati, Giulio Zavagnini, racconta a un amico «la prodezza» compiuta: «Stavano tutti fuori un pub con le maglie della Lazio a cantà i cori… semo partiti fratè, sfonnati, biciclette che volavano, ho tirato un secchio della monnezza su un tavolo». Si lamenta poi del fatto che molti del gruppo non collaborano: «Sempre i soliti siamo, troppi pischelli fermi». Per il gip, gli indagati hanno agito con un modus operandi «da branco, coeso, programmato, per realizzare azioni connotate da gratuità ed efferatezza». Oltre l’obbligo di dimora, non potranno assistere alle prossime partite della Roma.

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