(M. Vitelli) Gli dei del calcio dovevano proprio averla scelta come la settimana d’oro del football. Perché tra martedì 22 e martedì 29 settembre 1976 nacquero in angoli diversi del pianeta tre star del pallone: Andrij Shevchenko, Ronaldo il Fenomeno e Francesco Totti. Tre numeri uno, anzi un numero 7, un 9 e un 10. E che 10! Francesco Totti è stato tra i migliori interpreti del suo ruolo. Maradona ha detto che è il miglior calciatore che ha visto giocare. Ma dove e come nasce la storia d’amore tra Francesco e il pallone? E cosa è successo in 25 anni di carriera? «Io ci provavo a studiare, ma poi sentivo gli amici sotto casa che giocavano a pallone e non resistevo, così lasciavo i libri e correvo giù in cortile. A volte però non mi facevano giocare, allora tornavo su e mi mettevo a piangere», le parole di Totti oggi fanno tenerezza, era un bambino come tanti, con gli stessi sogni, con la voglia di divertirsi e fantasticare. Poi, a sette anni, i primi «calci veri» alla Fortitudo, prima del passaggio alla Smit Trastevere dove il piccolo di Porta Metronia inizia a fare sul serio. Così tanto che presto si accorgono di lui anche lontano dal Tevere. A dodici anni il campanello della porta di casa suona, mamma Fiorella apre e si trova davanti un emissario del Milan. Per far fare le valigie al dodicenne di belle speranze sono pronti 150 milioni di lire. Papà Enzo, che faceva l’operaio in una banca, tentenna, chiede consigli un po’ a tutti. «Aspetta – gli suggerisce l’amico di famiglia e dirigente della Federcalcio Stefano Caira – In confronto al talento di Francesco ti stanno offrendo spicci». E così, allontanata l’ipotesi di trasferirsi all’ombra della «Madunina», si attende. Poco, perché solo pochi mesi dopo Francesco passa alla Roma. E inizia una grande storia d’amore. Quando gioca la prima squadra gli capita di fare il raccattapalle, ammira i suoi idoli da bordo campo accarezzando l’idea di poter partecipare, un giorno, da protagonista. E quel giorno arriva.
È il 28 marzo 1993, si gioca Brescia-Roma. A pochi minuti dal termine del match Vujadin Boskov guarda quel ragazzino in mezzo ai grandi e gli dice: «scaldati». Lui quasi non ci crede, si alza dalla panchina e inizia a correre. Verso la bandierina, verso il futuro. All’87’ fuori Rizzitelli dentro Totti. Benvenuto in serie A. Il primo gol arriva il 4 settembre 1994 all’Olimpico contro il Foggia. È il suo esordio da titolare, in panchina c’è Carlo Mazzone. «Mio zio mi aveva promesso che alla prima rete mi avrebbe regalato una mountain bike. Ho cercato quel gol pensando alla bici!», ricorderà in più di un’intervista. Quando sor Carletto viene sostituito da Carlos Bianchi si sfiora il dramma sportivo. L’argentino fallisce di un soffio due imprese, quella di portare la squadra in serie B e quella di vendere il gioiello di famiglia. «Prendiamo il finlandese Jari Litmanen dall’Ajax e diamo Totti al Sampdoria», la grande intuizione di Bianchi. Per fortuna della Roma e dei romanisti invece va via lui e a Trigoria arriva Zdenek Zeman. Con il boemo Francesco vola e migliora tantissimo, così quando Sensi ingaggia Fabio Capello, il tecnico friulano si ritrova nella rosa uno dei più grandi fuoriclasse della storia del calcio italiano. Tra i due non è amore, ma arriva lo scudetto. È il 17 giugno 2001, Roma-Parma riempie l’Olimpico ed è festa. Cinque anni dopo Francesco vola in Germania con la Nazionale per partecipare al campionato del Mondo. Nonostante sia reduce da un brutto infortunio alla caviglia subìto a causa di un tackle dell’empolese Vanigli il commissario tecnico Marcello Lippi punta su di lui. Nell’ottavo di finale contro l’Australia entra e realizza un rigore a tempo scaduto che lancia gli Azzurri verso il successo finale. L’anno dopo vince la Scarpa d’Oro e nel 2008 sposa Ilary Blasi. E arrivano i figli Cristian, Chanel e Isabel. Il primogenito sembra stia ripercorrendo le gesta di papà. Un Totti calciatore nella Roma ancora c’è.