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Il Tempo Lo scudetto del 2001 griffato dal Capitano

Totti

(E. Menghi) «Voglio fare un gol l’ultima giornata dello scudetto». Era solo il sogno di un bambino, uno un po’ speciale (lo dirà il tempo), avverato in quel 17 giugno 2001: il giorno che inseguiva da una vita. Talmente unico da essere irripetibile, nonostante gli sforzi dei successivi 16 anni di Roma. Totti ha vissuto la stagione del tricolore da protagonista, i suoi 13 gol hanno trascinato la squadra verso il titolo, soprattutto l’ultimo al Parma. Ma anche lo splendido tiro al volo contro l’Udinese, la doppietta al Milan che non bastò per vincere a San Siro, le due reti al Napoli che tra andata e ritorno valsero 4 punti. Settantacinque a fine anno, nove in meno di quello attuale che vede i giallorossi secondi: la Juve ha alzato l’asticella e Francesco dovrà lasciare senza il trofeo a lungo inseguito. Gli ex compagni dello scudetto lo omaggiano e lo ricordano a 360°, perché dentro la maglia numero 10 c’è un uomo che ha lasciato il segno anche nella vita. In quella di chi l’ha vissuto in campo, nello spogliatoio, a cena fuori. In quella di chi lo prendeva ad esempio perché era una piccola spugna pronta ad assorbire i segreti del campione, che all’epoca aveva 25 anni. Abbiamo sentito quattro personaggi della vecchia Roma tinta di tricolore per avere un assaggio delle memorie del loro capitano, di quel bimbo che sognava di essere decisivo e lo è stato davvero.

DI FRANCESCO – Un brutto infortunio lo tiene fuori praticamente per tutta la stagione, riesce a fare 90 minuti solo alla penultima giornata in casa del Napoli, nel pari che aveva rimandato lo scudetto all’ultima partita, in cui è rimasto in panchina. Ma quello scudetto appartiene comunque un po’ a Di Francesco, che anche se fuori causa per colpa del crociato rotto a Nova Gorica non aveva mai fatto mancare la sua presenza nel gruppo da vero uomo spogliatoio qual era. Con la Roma ha totalizzato 129 gare tra coppe e campionato, riuscendo a segnare anche 16 gol. Dal 1997 al 2001 al fianco di Totti: «Quello che mi piace di lui e dello sportivo italiano è che in qualsiasi stadio va viene apprezzato. Ho letto che ha riempito di nuovo l’Olimpico». Per l’ultima volta, poi chissà in quale parte del mondo ripeterà l’impresa. Sicuramente Di Francesco non potrà allenarlo: «Ci ho giocato volentieri, fargli da tecnico sarebbe totalmente differenze. La volontà e la testa fanno la differenza, io a 35 anni ho sentito di non poter dare più niente e ho deciso di smettere, lui si è sentito di andare avanti fino a 40 anni e ha fatto bene così. Se penso alla Roma, penso a Totti. Mostra le sue grandi qualità anche nelle cose più semplici. E ha una bella famiglia». Con Capello che allenava quella Roma di campioni Eusebio non ha mai avuto un buon rapporto: «Ha un carattere forte, che non significa arrogante, ma nel rispetto dei ruoli ci siamo sempre detti le cose in faccia». Qualcosa in fondo gli deve, visto che quell’annata magica a Roma è stata la più importante della sua carriera, nonostante l’infortunio a inizio stagione. Resta quello l’unico trofeo vinto da giocatore, chissà che non riesca a fare un bis speciale nella capitale in al tre vesti.

TOMMASI – Un paio di campionati in Serie B col Verona prima di raggiungere «casa Totti», era il 1996 e cominciava la storia romanista di Damiano Tommasi. Il mediano del terzo scudetto ricorda la stagione più importante della sua carriera: «Io sono arrivato quando Francesco era agli inizi, per me era la prima esperienza in A e lui era più giovane di me di due anni: siamo cresciuti insieme in uno spogliatoio in cui assieme a noi crescevano le aspettative. C’erano persone che ci hanno aiutato a vivere l’ambiente con professionalità ed esperienza. Tutta l’annata è legata a Totti. Sicuramente la perla migliore è stata il gol al Parma: racconta molto di quanto il capitano tenga alla Roma». Destro sotto l’incrocio e corsa sotto la Sud, strappandosi via la maglia di dosso. Faceva caldissimo, ma i giallorossi erano scesi in campo con la divisa invernale: «Per scaramanzia». Non si vedeva nemmeno uno scalino libero per quante bandiere sventolavano quel giorno e quanti seggiolini pieni d’amore c’erano all’Olimpico. Sarà così anche oggi, non per uno scudetto, ma per chi l’ha vinto 16 anni fa e non se n’è mai andato. Tommasi non sarà presente a Roma-Genoa, ma ha un messaggio per il numero 10: «Sta vivendo un momento particolare, se lo goda fino in fondo. Lui è un simbolo per Roma e per la Roma. Non è la fine di un’era, come tutti i percorsi c’è un inizio e una fine: bisogna girare pagina. È inevitabile che succeda di cambiare vita professionale». Sul futuro di Totti non si sbilancia: «Tanti parlano del domani di Francesco, avrà tempo e modo di pensarci. Io non lo vedo lontano dalla Roma, ma dipenderà da lui». Non è più il ragazzo che aveva conosciuto nel ’96, «inevitabilmente è cambiato: è diventato padre e marito».

BOVO – In età da Primavera, è diventato maggiorenne mentre la Roma viaggiava spedita verso il terzo scudetto: Cesare Bovo ha dovuto aspettare i quarti di Coppa Italia con il Brescia nel gennaio 2002 per esordire in giallorosso, ma nell’annata del tricolore era lui il solo baby scelto da Fabio Capello per allenarsi con la prima squadra e, da difensore centrale, si è spesso ritrovato a giocare partitelle contro un certo Totti. «Io – racconta – ero un ragazzo aggregato, mi sono allenato con quella squadra di campioni, per cui posso dire di essere stato molto fortunato. Francesco era il giocatore simbolo, il più rappresentativo, sicuramente uno dei più forti. Si coglieva tutto il suo talento già 17 anni fa, era affermato anche se era giovane. Era conosciuto in tutto il mondo. Ricordo il suo modo di essere, la persona che oltre al giocatore è fantastica: semplice, umile, disponibile con tutti. Anche con me. Un 10 in tutto». Ora che sta per chiudere quella maglia storica in un cassetto («ma ne siamo sicuri? Lui ancora non si è espresso, ci possiamo aspettare qualche sorpresa…», dice il giocatore attualmente al Pescara), l’augurio per un domani all’altezza del presente arriva dal suo. ex compagno di squadra: «Perdere lui è difficile per la Roma, ma anche per il calcio tutto. Ha battuto ogni record, sarà una perdita pesante. Anche se gli anni sono tanti, in campo ci può ancora stare molto bene… Comunque rimarrà nel calcio e qualsiasi cosa farà la farà bene, perché è super in tutto. Smettere è complicato per tutti quelli che fanno questo mestiere, lui ha avuto una carriera calcistica sopra le righe, poteva ottenere di più, ma è rimasto qui. Avrà la forza di scegliere quello che gli piacerà di più per il suo futuro».

AMELIA – Vincere uno scudetto a 19 anni, alla prima stagione tra i grandi, chiamato da Capello per fare il terzo portiere e ritrovarsi in ritiro con Totti. Non capita a tutti, a Marco Amelia sì e la storia di quella cavalcata è ancora stampata nella sua memoria: «Dal primo giorno a Kapfenberg fino a Roma-Parma. Eravamo giovanissimi, 300 giorni insieme ed è stato bello ogni istante. È stato tutto un creare entusiasmo e voglia di vincere, già da luglio, visto che l’anno prima l’aveva fatto la Lazio». Purtroppo il bis per il capitano non è mai arrivato: «Ma è una condizione di ambiente. La Roma ha avuto più di una possibilità, ma spesso perde punti con le piccole». Come quando l’attuale portiere del Vicenza, ai tempi del Livorno, fermò la Roma sull’1-1: «Ancora mi insultano per gli interventi su De Rossi e Perrotta: quel pari pesò nella rincorsa all’Inter». Amelia ha vinto il tricolore pure a Milano: «Ma l’entusiasmo di Roma è un’altra cosa. La festa dura anche troppo». Un vanto da esportare: «Ho girato molto, l’anno scorso ero al Chelsea e si parla di Totti ovunque. Anche in vacanza negli Usa, sedici Roma ti rispondono Totti: è una grande soddisfazione per chi ha giocato con lui. Fa capire che per Roma è il più grande. Ed è stato bravo, perché è venuto dopo Giannini, il re, il numero 10. Ha ereditato quella posizione con dignità». Trovare un erede «sarà difficilissimo. Ora i ragazzi pensano ai social, Francesco è più reale». Per rendere la vita ardua a qualche altro portiere: «Ho subìto gol meravigliosi da lui, di quelli dove è impossibile metterci le mani». Poi un consiglio: «Quando devi spegnere la luce e chiudere la porta, devi farlo tu, non gli altri. Decida lui quando smettere. Io mi auguro che continui».

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