(M. Berruto) – Si è tentato in tutti i modi di raccontare Francesco Totti con dei numeri: 25 stagioni, 307 gol, 17 allenatori, addirittura 180 calciatori che oggi giocano in Serie A che non erano ancora nati il 28 marzo 1993, giorno del suo esordio nel massimo campionato italiano. Si potrebbe andare avanti per una pagina intera a snocciolare numeri, indicatori oggettivi della consacrazione di un campione. C’è, tuttavia, un esercizio più romantico che raccomando se si vuol partire all’inseguimento della bellezza mettere a fuoco un dettaglio, uno solo, e dedicarsi anima e corpo a quella E un gesto che va allenato, entrando in un museo per guardare un solo quadro, sfogliando il proprio romanzo preferito alla ricerca di una sola frase o aspettando lo svolgersi della trama di un film fino all’arrivo di una sola scena. Un esercizio di profondità, in un mondo che si racconta attraverso la superficie, un gesto che si sviluppa in verticale, in un mondo che marcia su binari orizzontali. La ricerca di “quel” quadro, “quella” frase, “quella” scena: dettagli, sì, ma capaci di scuoterci dalle emozioni. “Quel” numero, per Francesco Totti è il numero 1. Come potrebbe essere diversamente? Soltanto una maglia indossata in 25 anni di carriera passati in serie A. Di Totti si può essere tifosi o detrattori, amarlo o odiarlo, ritenerlo un intellettuale dello sport o farne oggetto di barzellette. Sta di fatto che quel numero “uno”, quell’unica maglia giallorossa da sempre e per sempre indossata, mette tutti d’accordo. La sua grandezza è proporzionale al suo essere rimasto l’unico (e temo irripetibile) rappresentante di una categoria che va descritta con una negazione: i non-mercenari. Non sapendo se mai avremo un altro Francesco Totti, voglio scomodare grandi maestri per celebrare l’addio a “quella” maglia del capitano della Roma. Scelgo due geni dell’umanità: Omero e Walt Disney. Francesco Totti ricorda Ettore, il campione che non vince (per carità, Toni ha vinto cose importantissime, ma meno di quelle che avrebbe potuto e meritato), ma in realtà stravince il confronto con Achille in termini di umanità, empatia, vicinanza ai lettori degli ultimi, più o meno, 2.700 anni. Ettore è colui che lascia la battaglia per andare dal figlio Astianatte che si spaventa nel vederlo con l’armatura. Allora, dolcemente, si sfila l’elmo per poter giocare con lui prima del duello finale, insegnando all’umanità intera che se non ci spoglia mai dalle amai, non si può essere padri. Francesco Totti si è sfilato la maglia giallorossa, dopo centinaia di gol festeggiati con il pollice in bocca, e ora magari potrà leggere ai suoi figli un fumetto del gennaio 2008 quando diventò il primo calciatore protagonista della copertina di “Topolino”. La storia si intitolava “Papertotti e il segreto del cucchiaio” e lui sbarcò nella leggenda. Quando riesci a essere contemporaneamente eroe omerico e fumetto significa che sei stato capace di parlare un linguaggio universale e far soffiare un vento trasversale che ha accarezzato i sogni di bambini, adulti, anziani, tifosi, non-tifosi, amici e nemici. Non serve aggiungere altro, se non un gigantesco grazie per le emozioni regalate a chi ama lo sport e crede che l’essenza dello sport si nasconda nei dettagli.
Fonte: l’avvenire