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Il Tempo Il tira e molla sullo stadio della Roma

(F. M. Magliaro) «Lo Stadio della Roma (quando se lo compra) è un regalo al costruttore. punto. (il calcio è solo una scusa)»: lo scriveva, il 18 dicembre 2014, Virginia Raggi, aggiungendo in un secondo post le critiche al progetto (e alla delibera): tutto bocciato sotto il profilo normativo, urbanistico, idrogeologico, trasportistico, occupazionale, di opere incompiute con abituali accuse di “interessi privati” e “foglie di fico”. Quattro giorni dopo, il 22 dicembre, lei e i suoi avrebbero votato contro la delibera di Marino che sanciva il pubblico interesse alla costruzione della futura casa giallorossa a Tor di Valle. “Roma avrà uno Stadio fatto bene, un impianto sportivo che rispetta la legge e che porterà opere pubbliche e infrastrutture. Sarà uno stadio che porterà lavoro. Una grandissima opportunità per rilanciare l’economia della Capitale”: è sempre Virginia Raggi che scrive, ma lo fa da Sindaco, commentando l’approvazione della nuova delibera, marca 5Stelle, sullo Stadio, il 14 giugno scorso.

Fra le due dichiarazioni passano 908 giorni segnati dalla caduta di Ignazio Marino, l’interregno del prefetto Tronca, l’elezione di Virginia in Campidoglio, le botte mediatiche con Paolo Berdini, inizialmente osannato nemico dei palazzinarie degli speculatori promosso ad Assessore all’Urbanistica e ai Lavori pubblici, e poi invitato prima a lavorare e, infine, a far fagotto. La Raggi passa rapidamente da Torquemada anti Stadio a esegeta dello stesso. In fallo, Virginia, ci finisce, di fatto, solo una volta: incalzata a RadioRadio, il 4 marzo 2016, sbotta: “La delibera di pubblica utilità dello stadio della Roma a Tor di Valle? Magari la ritiriamo e lo facciamo da un’altra parte. Ci opponiamo a qualunque operazione edilizia che sia solo speculativa. Tor Di Valle allo stato attuale appare una operazione speculativa” perché lo stadio è “solo il 14%. Il resto sono uffici e centri commerciali. Ma a Roma abbiamo già lo Sdo, le torri dell’Eur con la stessa funzione. Magari la delibera la ritiriamo e lo facciamo da un’altra parte. Ci sono idee nel quadrante sud est, ci sono delle aree che si prestano, Tor Vergata sembrerebbe. La legge di stabilità prevede che ci siano aree già predisposte. Questa per noi è una condizione necessaria”.

Dall’epoca, la Raggi ha badato a fare attenzione: niente più accenni a ritirare la delibera, a cambi di locazione o altro. Solo il vago e generico accenno al “rispetto delle regole”, un mantra buono per tutte le stagioni. Il 15 giugno 2016, a una settimana al ballottaggio, ad esempio: “Lo stadio deve rispettare la legge ele norme del Piano regolatore generale (PRG) perché questi due criteri non si possono accendere e spegnere ad uso e consumo di chi governa”. La sottigliezza che tiene buoni tutti: il richiamo al PRG. Per i più accesi ed esperti anti stadio significa permettere la costruzione solo dello stadio, niente di più. Per gli esperti pro stadio significa lasciare la porta aperta alle varianti urbanistiche (cosa che poi è avvenuta). Salita finalmente in Campidoglio, indossata la fascia tricolore, Virginia dismette rapidamente i panni del no senza se e senza ma al “quartiere Parnasi”. Questo ingrato compito finisce per assumerlo Paolo Berdini, chiamato a guidare l’Urbanstica capitolina. L’uomo che, forse più di tutti, sin dall’inizio, aveva bocciato il progetto e criticato ferocemente la filosofia di base della legge che lasciava il Comune privo, a suo giudizio, del potere di decidere l’assetto futuro del territorio.

L’ idea è che Marino e Caudo abbiano fatto male i conti, regalando cubature alla Roma che, pensano, alla fine farà le opere pubbliche senza tutti quei metri cubi in cambio. L’opacizzarsi della stella Raggi, causa nomine, inchieste e pettegolezzi, rende opaco anche il procedere della Giunta con Berdini il quale, causa assenza dell’autorità del Sindaco, come un novello Penelope, di giorno scrive memorie di Giunta e cronoprogrammi e di notte fa di tutto per non rispettarli, magari vantandosene in convegni e dibattiti cui sembra non mancare mai. Celeberrimo alle orecchie dei tifosi della Roma il “l’hanno presa sui denti” urlato da Berdini aun convegno dei 5stelle. Non proprio l’aplomb di un Assessore. Saltato Berdini a San Valentino, la Raggi prende in mano la situazione. L’accordo va portato a casa. Ci vogliono 10 giorni soli, dopo quasi 8 mesi di impasse, per sedersi a tavolino e stringere la mano di Mauro Baldissoni e Luca Parnasi, direttore generale della Roma il primo e il costruttore partner dei giallorossi il secondo. Dall’uscita di scena di Paolo Berdini, Virginia Raggi diviene l’alfiere del nuovo Stadio, ignorando perfino le facezie del patron 5Stelle Beppe Grillo (“canoe e salvagenti”). Stadio alle sue condizioni. Si tagliano le torri, assurte a simbolo del male assoluto. Ma dei presunti regali a Parnasi e Pallotta non c’è traccia. Quindi, una spolveratina di verde che non fa mai male, qualche post su facebook e “uno stadio fatto bene” è il nuovo mantra.

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